Secondo il sociologo Max Weber i fenomeni sociali andrebbero indagati risalendo alla causa prima che li ha generati, ma noi non abbiamo tempo per farlo, non ce ne frega niente. Sappiamo però una cosa per certo: che chi ha più di trent’anni non ha mai visto per intero un video della youtuber Greta Menchi, il fenomeno sociale che per l’appunto vogliamo indagare. Per cui rimediamo adesso.
Di seguito, la trascrizione con un minimo di editing della visione su Youtube, senza interruzioni, di tutti i 14’10” del video “HAI MAI CON FAVIJ”.
Premessa
Cercando su Google “Greta Menchi” il primo risultato è ovviamente il suo canale Youtube. Apro una nuova scheda del browser e ordino i video dal più popolare al meno popolare: il più popolare, con circa 3.3 milioni di view è intitolato “HAI MAI CON FAVIJ”, in capslock. Sinossi: Greta e Favij, due dei più noti youtuber italiani hanno giocato a “obbligo verità”, ma senza l’obbligo. Quindi solo verità ma con i loro follower. Lo specifico ad usum trentenni.
Il video
Play. Loro due su un divano. A prima vista lui sembra molto più ragazzino di lei, lei più donna e sgamata. Lui è vestito come un liceale di 15 anni fa – brand VANS a caratteri visibili da Urano a parte – lei indossa una canottierina che ricorda più una camicetta da notte di seta. Appena aprono bocca si capisce quali personaggi recitano: lui il bravo ragazzo, capace di quegli scarti dal bravo ragazzo che confermano l’essere bravo ragazzo, lei la “carina ma non troppo”. Finta svampita però “troppo simpatica”, quella con cui tutte, dalla culona emarginata alla modella liceale minorenne – quella che incenerisce con lo sguardo la sfiga maschile che le gravita intorno – possono immedesimarsi.
Cosa succede quindi? I due rispondono alle domande ricevute per questa specie di AMA + “obbligo verità”, ma senza obbligo, per youtuber. E come normale per il pubblico cui si rivolgono trattano di cose da liceo, e penso sempre: se al mio liceo ci fosse stato qualcuno famoso, ma famoso davvero, famoso come loro, però famoso “raggiungibile” grazie ai social media?
Qualcuno che tutti potevamo vedere e rivedere in ogni momento immaginabile sul nostro smartphone, qualcuno della nostra età? Se gli smartphone fossero stati come gli smartphone oggi, cioè oggetti diffusi più o meno come un portachiavi? Se fosse stato questo qualcuno famoso, sveglio e tutto sommato simpatico come sono svegli e simpatici entrambi? L’avrei seguito? L’avrei ascoltato? Avrei fatto play? Ma certo che sì. Una view gliel’avrei data di sicuro, anche più di una. Davo retta a tali teste di cazzo al liceo che loro due a confronto sembrano Deleuze e Guattari.
“Un anno avevamo occupato scuola” sospira Greta, “Che bei momenti” ribatte Favij, mentre penso che questi potrebbero quasi, biologicamente, essere miei figli, nati entrambi negli anni novanta. Faccio però fatica a non alzarmi dalla sedia e stendere il bucato, girare il sugo o la pasta, andare in bagno: perché in fondo è tutto noiosissimo, oggettivamente estenuante se non hai sedici anni. È registicamente un supplizio perché non c’è regia nei termini che normalmente conosco, c’è una camera fissa e due che parlano del nulla. Ma è quello il linguaggio, che posso aspettarmi? È la loro lingua, tutto normale.
È anche chiaro però che sbaglio io, e che sono l’unico a cui deflagrano i testicoli, perché come diceva Marchesi “milioni di mosche non possono sbagliare” e ronzanti hanno già conteggiato milioni di view, così rifletto: in fondo non è un contenuto pensato per me, tutto qui. È come stupirsi di trovare noiosa la tv del pomeriggio su Rete4, allo stesso modo, specularmente, il video di Favij e Greta non è pensato per il pubblico che rappresento. Non è un contenuto pensato né per me, né per essere valutato in questi termini, probabilmente.
Le domande cui rispondono Greta e Favij sono puerili, del tipo “Hai mai baciato un/una youtuber?“, ma immagino che possano scatenare pruriti sotto le mutande nell’audience di riferimento. Fingono imbarazzo tutto sommato bene, ma proprio non riesco ad appassionarmi, a loro che tengono in mano lo smartphone, leggono altre domande come “Hai mai mangiato qualcosa dopo che è caduto a terra?” e ancora alzano i cartelli “Sì / No” mentre continuano le domande cretine dei follower, vai a sapere se sono domande vere o scritte da qualcuno, come suggeriva Favij, a sua volta suggerito dalla sceneggiatura.
L’inquadratura fissa mi stronca dopo 9′, vedo quei nove minuti già come un trionfo di resistenza, la mia battaglia di Stalingrado su Youtube. Però proprio non ce la faccio ad andare avanti senza una pausa.
È sera, così metto in pausa e vado a bagnare le piante in terrazzo. La fissità dell’inquadratura, delle voci, la piattezza dei dialoghi tra i due, è difficile da reggere: non appassiona chi è lontano da quel mondo, ma perché dovrebbe poi? Meglio starcene tra di noi e tenere gli altri fuori, come naturale in quell’età.
Riprendo, play: “Hai mai avuto una cotta per un professore?” e i due alzano il consueto cartello “Sì / No” mentre mi interrogo su quanto proseguirà ancora tutto questo, e ancora loro due spiegano il perché e il come mai, con un ritmo che fa sembrare il Decalogo di Kieslowski frizzante come una commedia dei Vanzina.
Ho ancora 5′ davanti: “Nooo? Sììì? Veramente?” e ancora “Eri innamorata o era una fissa?“. E loro alla fine sono carini, recitano bene, affermano entrambi di fare la pipì nella doccia – ci mancherebbe altro, è un grande segno di civiltà la pipì nella doccia – dice che non hanno mai cacato in posti strani, almeno a quanto dichiarano, anche perché “La cacca è un bel disagio“, come ricorda Greta.
Si parla di reggiseni scappati, eccetera, in un crescendo stupidino e pruriginoso: una noia leopardiana mi stringe la gola – e anche altre parti del corpo – come una morsa da fabbro. Ma Leopardi in fondo amava il tedio, perché riusciva a estrarne il sublime: io invece mi trovo tarantolato sulla sedia a fissare il conteggio dei minuti, bramando quelli mancanti.
Tutto normale, non è roba per me. Non riesco però a non pensare a quando – ma perché quando? Sarà già accaduto di sicuro – qualcuno si laureerà con una dissertazione su tutto questo, perché a me pare non ci sia proprio niente di interessante, neanche come oggetto di studio.
Forse in antropologia, in qualche saggio fuffa di semiotica, vai a sapere. Forse mi sbaglio. O forse non è che ogni puttanata della cultura pop meriti un corso di studi dedicato, un enorme errore degli ultimi 30 anni cui faremmo bene a rimediare presto, ma so già che non accadrà.
Dio sì: siamo arrivati alla fine: “Sono proprio contento di avere fatto questo video” “Lori mi vuoi bene?” “No” poi ovviamente “Sì” e cuoricini, e gira il cartello. Stringono i cuscini. “È stato imbarazzante” conclude Favij mentendo, e ringraziano i tutti per le più di, al momento, 3.3 milioni di view.
“Ci vediamo“, sì: ci vediamo nel prossimo video.