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di Gabriele Ferraresi 12 Ottobre 2016

Per le scuole del Regno Unito ci sono “italiani italiani”, “italiani napoletani” e “italiani siciliani”

Eh sì, nel Census Language Codes gli italiani sono suddivisi in tre sottocategorie. Un misto di ignoranza, eccesso di zelo e velato razzismo

italiani_siciliani ArkOnline - Eh?

 

Se ne sta leggendo molto nelle ultime ore: nel Regno Unito alcuni moduli scolastici dividerebbero gli italiani in italiani italiani, italiani napoletani e italiani sicilianiCorriere.it è tutta mattina che ci apre la home page, Repubblica.it idem, tutti a riprendere le parole dell’ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano che sarcastico giustamente chiosa: “Siamo uniti dal 1861“. Ci sta.

Noi abbiamo fatto un po’ di ricerca per andare a vedere dove si trovano online questi famosi, anzi, famigerati moduli e soprattutto come si compongono i codici di identificazione linguistica che hanno scatenato lo scandalo: per i curiosi, li trovate tutti qui in pdf i “census language codes” che hanno scatenato l’inferno.

Diciamo che per quanto ci piaccia l’idea un po’ vittimista di sentirci maltrattati dalla perfida Albione, tanto più in tempi di Brexit, è probabile che non ci fosse un intento razzista di partenza. Lo conferma anche Enrico Franceschini di RepubblicaL’iniziativa aveva, in teoria, uno scopo non discriminatorio: stabilire la provenienza etnica dei figli di immigrati per poter fornire sia ai bambini, sia eventualmente ai genitori, la necessaria assistenza linguistica nell’apprendimento dell’inglese“.

Più che razzismo sembra che sia un misto di ignoranza – si parla di visione tardo ottocentesca dell’Italia all’estero – ed eccesso di zelo a livello di categorizzazione, fatto a monte, quando qualcuno ha dovuto pensare quelle categorie che poi sarebbero diventate un menu dropdown su un sito, un file Excel, un modulo da compilare o uno screenshot in home su uno dei maggiori quotidiani italiani.

Cercando di capire come si sia arrivati a dividere gli italiani in “italiani italiani” e, fondamentalmente, meridionali, è probabile che sia andata così: le procedure informatiche prevedono infatti che a ogni studente sia abbinato un codice collegato alla lingua che parla – e soprattutto che parlano i suoi genitori – più è precisa questa definizione, meglio è per chi si trova ad avere a che fare con quello studente o con la sua famiglia. Problema: non esistono come lingue riconosciute in Italia né il napoletano né il siciliano, ma soprattutto, se mettiamo quelle, perché non inserire lingue vere e proprie, come il ladino o il sardo? Mah.

Le categorie cui assegnare gli studenti di quel file sono centinaia e centinaia, e prevedono anche casi di appartenenza linguistica rari o rarissimi: scorrendo le celle del file Excel mi imbatto per esempio nella lingua degli Herero, un popolo africano che credevo addirittura estinto, di cui aveva scritto Thomas Pynchon nel romanzo V.. Insomma, a leggersela per bene, ci si accorge che è una categorizzazione molto precisa e verticale – il che è sempre un bene – ma che a noi ha dato, logicamente, l’idea del razzista e del discriminatorio.

Va detto poi che le distinzioni e le differenziazioni linguistiche nei codici non riguardano solo l’Italia e gli italiani: anche i curdi per esempio vengono suddivisi – è abbastanza normale per noi ignorare la differenza tra “curdi curdi”, “curdi kurmanji” e “curdi sorani” – e così anche per altre etnie, ma solo per l’Italia c’è stata questa distinzione con l’accetta, che sa più che altro di ignoranza mista a eccesso di zelo in quella che pare a molti una schedatura razzista degli studenti e delle famiglie.

– – – Update, ore 13.48

Il Foreign Office britannico si è scusato ufficialmente con l’Italia “deplorando l’accaduto e assicurando un intervento perché vengano subito rimosse queste categorizzazioni non giustificate e non giustificabili” e “verificherà per quale motivo, in pochi e isolati distretti scolastici, siano state introdotte queste categorizzazioni, che peraltro non avevano alcuna volontà discriminatoria, ma semplicemente miravano all’accertamento di qualche ulteriore difficoltà linguistica per i bambini da inserire nel sistema scolastico inglese e gallese“.

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