Viaggi
di Carlotta 21 Marzo 2017

La mia Cuba

Un diario di viaggio scritto con il cuore, dall’isola caraibica del Che e di Fidel

Tutte le foto: Carlotta Fiandaca  Tutte le foto: Carlotta Fiandaca

 

Lacrime di commozione, di gioia, ne ho piante tante a Cuba. Le ultime alla Habana, quando un cubano – un cubano con il cognato calabrese! – mi ha visto piangere la mattina della partenza mi ha detto che ho l’alma grande, che parlo con il cuore. L’ho ringraziato: e intanto piangevo ancora di più. Mentre scrivo queste righe sono tornata da Cuba da neanche 12 ore, è domenica sera e sono a Milano, mentre solo due sere fa ero ancora là, in un quartiere periferico della capitale a farmi tatuare.

Lo so: partire dalla fine per scrivere il diario di un viaggio non sembra una grande idea, ma in quel tatuaggio, in quella media horita o poco più di dolore misto a piacere c’è stata tutta la forza, l‘emozione, l’eccitazione, la rivoluzione, la sensualità, e l’orgoglio che ho provato durante queste due settimane in giro per la linda Cuba.

È stato un viaggio speciale perché Cuba è calore, contraddizioni, rispetto, è Fidel e Che Guevara, è il ballo, l’amicizia, l’amore; è la sua rivoluzione, la sua natura, il suo popolo e le sue tradizioni.

 

Il 14 febbraio e l’amore di tutti
La festa dell’amore è il 14 febbraio a Cuba, proprio come da noi, ma è una giornata molto più evoluta e divertente del nostro San Valentino. Si celebrano infatti “l’amor y l’amistad”, e quindi tutti festeggiano, nessuno escluso, non è una cosa solo per coppiette.

Quel giorno mi sono arrivati anche messaggi d’auguri da Raulice, il mio primo amico cubano, un professore che insegna matematica ai bambini, conosciuto durante una delle prime soste. Per la festa dell’amore al mattino eravamo a Baracoa, ma già nel tardo pomeriggio di nuovo di ritorno Santiago, una città in festa dove si vendevano fiori, con a ogni angolo di strada ragazze e ragazzi che indossavano il vestito buono, che ci tenevano a essere in ordine.

Non era una festa per accoppiati, era il trionfo dell’amore: ma dell’amore per tutto e tutti, non solo per chi aveva già trovato qualcuno da amare.

Ricordo poi un’alba meravigliosa a Baracoa, la mezz’ora ad aspettare il sorgere del sole e la piccola cittadina che si svegliava aspettando il sole. Alzarmi e vedere l’alba diventò di lì in poi il mio rito per tutto il resto del viaggio.

 

 

L’uragano
Da Baracoa siamo partiti poi per la Finca del cacao, in viaggio tra la vegetazione verdissima e le devastazioni dell’uragano Matthew. Non dimenticherò mai il profumo di burro di cacao alla finca, burro di cacao vero, da spalmarsi ovunque, sulle labbra, sul viso, sui capelli, sulla pelle.

Da lì siamo passati al Rio Yumurì, per tuffarci in una pozza d’acqua blu gelida. L’uragano Matthew non ha fatto morti a Cuba, ma ha distrutto strade, case, palme, e quindi lavoro; c’era povertà prima e c’è povertà ora, anche se le case in molti casi sono già state ricostruite.

I cubani si stanno rimettendo in sesto, come le palme reali sradicate dalla tempesta, che giacciono a terra in attesa di essere riutilizzate, portate a nuova vita. Altre palme invece sono salve, e buttano fuori timidamente i loro nuovi ciuffetti, presto verdi e rigogliosi.

 

Il lavoro
Il lavoro è prezioso a Cuba. Il nostro autista José ha lavorato tutto il giorno mentre suo figlio, dodicenne, era in ospedale per un’operazione; partivamo da Baracoa per Santiago, era il 14 febbraio, la Festa dell’Amore.

José ha guidato lo stesso, evidentemente preoccupato e ha fatto il suo dovere con chissà quale peso addosso. Resto seduta in viaggio a fianco di José e ogni cosa è una sorpresa, ogni angolo, ogni casetta colorata, ogni bambino in divisa che va a scuola oppure torna a casa. Ogni animale, ogni fiore, ogni pianta.

Al di là dello spirito di sacrificio di José nel complesso i bus funzionano bene e gli autisti in divisa e i pullman bianchi e blu si distinguono subito, portando turisti o viaggiatori; gli autisti si salutano e si avvisano dei pericoli e dei controlli.

 

 

Cosa è rimasto di Fidel
Il nostro tour a Cuba è stato una botta allo stomaco fin dall’inizio; il primo giorno siamo stati al Cemiterio di Santa Efigenia dove ci sono la tomba di Fidel e del poeta ed eroe nazionale José Martì. Ho il video della guida che recita Martì, con un fiume di gente che gli passa dietro e che va a rendere omaggio alla tomba di Fidel, con un fiore, un sorriso, e tante magliette del Che orgogliosamente indossate. Tante etnie, tanti colori.

Altra vera emozione poi, la musica e il cambio della guardia; i primi assaggi di una storia profonda, toccante, fatta di coraggio e morti e sangue e rinascita. La tomba di Fidel è un chicco di mais, secondo le sue volontà non voleva nessuna effigie, né nulla che lo ricordasse.

In ogni caso, Fidel è ricordato ovunque, e nelle case c’è sempre qualcosa che lo riguarda, una foto, una frase, un giuramento, piccoli altari. Anche nelle strade e in tutta Cuba Fidel vive: si legge spesso, Yo soy fidel, Fidel entre nosotros. Il fiume di gente che va a visitare la sua tomba è inarrestabile, lento, rispettoso. Ognuno porta un fiore.

 

 

Mangiare e dormire a Cuba
Ricordo con affetto ogni proprietario di ogni casa particular in cui ho dormito, mi sono sentita veramente a casa. La coppia di ragazzi “ricchi” di Camaguey, con quella villa anni ’50 ereditata dai genitori di lui. Aspettavo la colazione in quel patio e mi sembrava di essere in un film; lei andava a lavorare, carinissima e dolcissima, lui anche, ma prima ci avrebbe aiutato con le valigie.

Doña Ana a Santiago, la prima che mi ha aperto casa, con suo marito e la cagnolina che si grattava perché mangiava troppi dolci; Doña Tita, a La Habana che mi ha premurosamente steso al sole e poi piegato per bene e riposto sul letto tutte le mie calze e le mutande, il costume, teli e parei che avevo steso a caso in camera ancora umidi dalla tappa di Trinidad dove ha piovuto fortissimo la sola volta che avevo lavato e steso per bene.

Doña Aracelis, che a Viñales mi ha fatto sentire libera, felice, a casa: meglio che a casa. Le ragazze de L’Habana, Lily e Laurie, meravigliose, si svegliavano alle 5, e via a preparare la colazione per noi, e poi la cena e poi di nuovo la colazione. Mi svegliavo presto, chiacchieravamo sulla porta di casa o direttamente in strada. Le cene e le colazioni, ma anche i pranzi in giro, sono stati tutti incredibilmente abbondanti e vari.

C’era sempre di tutto su quel nostro tavolo lungo lungo, ma d’altronde abbiamo avuto anche veri e propri chef a cucinare per noi – come Albertijo a L’Habana, per esempio – o prenotazioni in bellissimi ristoranti, ma non solo. Mangiare il maialino a Camaguey, in casa di quella signora con quel giardino quasi zen e una cucina da sogno oltre che una cena da sogno; e poi insalate, pepiti, carote, cavolo, patate dolci, tuberi di ogni tipo, la yucca che adoravo, zuppe buonissime, zucca, fagioli, riso bianco da buttare nella zuppa, pane, buonissimo, burro, marmellata e succhi di ogni frutto, banane in tutti i modi, non ricordo i nomi di tutti i frutti e i tuberi.

Io però amavo i pranzi in giro. I panini sulla strada nei ranchos, con quel vento, quelle palme, le bandiere, le cartoline, i cani, i bagni pubblici col cuoricino sulla tazza e tanta strada ancora da fare. Indimenticabili le aragoste, la paella al rancho sulla spiaggia a Cayo Blanco, un paradiso selvaggio, un mare caraibico indimenticabile e un silenzio che mi porto dentro.

 

Il Che
L’est di Cuba è meraviglioso”, ci dice una ragazza di Santa Clara, la città del Che. Siamo arrivati a una delle giornate più importanti del viaggio, la visita al Mausoleo e al Museo del Che Guevara. L’incontro con il Mausoleo del Che mi ha cambiata; la fiamma perenne, quelle tre lettere “CHE”, e silenzio. Lui riposa lì, con i suoi guerrilleros, tutti ricordati con il nome di battaglia. Ancora emozioni, ancora brividi, ancora lacrime.

Il museo è uno scrigno di immagini, fotografie, momenti, frasi, libri, vestiti, strumenti da medico, armi; era un medico, un rivoluzionario, un guerrigliero, un uomo bellissimo, sorridente, forte, un esempio, per una nazione intera. Sono rapita, affascinata; l’amicizia con Fidel, il coraggio.

Resto ancora un po’ a piangere, di fronte a quelle foto, al suo sorriso nella foto con Fidel e Raul Castro; quanto deve aver sofferto lui, con quell’asma, con quel clima. Per quello poi ha scelto quella bella casa con quella bella vista a L’Habana, con aria più fresca e un po’ più sana, dove ho visto uno dei tramonti più belli della mia vita.

Emozioni differenti e disparate lungo tutto il viaggio; a Santiago anche la visita alla Caserma Moncada è stata intensa: “Condannatemi. Non importa. La storia mi assolverà” 16 ottobre, 1953 Fidel Castro. Tanta violenza, tanto eroismo, tanto coraggio. La data dell’assalto, 26 luglio si vede dipinta in giro per Cuba esattamente come Che e Fidel, e spesso accanto alla bandiera cubana che ha tanti bei significati sventola anche quella del 26 luglio.

 

 

Il Teatro de Los Elementos e la Virgen de la Caridad
Un’altra visita interessante è stata alla comunità culturale Teatro de los elementos, con l’orto botanico, l’arte di riciclare, l’anfiteatro nella natura e il fiumiciattolo purtroppo prosciugato da un clima che a Cuba soffre il riscaldamento globale. Pranziamo con i cantautori, con quelle belle camicie bianche, suonano e cantano e intanto beviamo un caffè in un bahio, la casa di un contadino cubano.

Al Santuario della Virgen de la Caridad de el Cobre, ci sono vari ex voto e si chiedono le grazie. Sulla strada compriamo corone di fiori da lasciare, candele, statuine. Abbiamo corso un po’, iniziava la messa e se inizia la messa le corone non le puoi mettere, devi aspettare che finisca. Ho ascoltato un po’ la messa, qualche canto e ho pregato un po’, ho chiesto alla Virgen di farmi tornare a Cuba.

 

Trinidad
Anche a Trinidad ho lasciato un pezzetto di cuore. E passeggiato da sola per la città tra negozi, bancarelle e persone, ballato reggaeton, ballato salsa, bevuto canchanchara rubando il bicchierino tondo di ricordo. Lo so, non si fa! Ma è stato davvero l’unico peccato della vacanza. Perché i gira-mojiti portati a casa non si contano e non valgono come furto!

Trinidad è una cittadina romantica, colorata, due giorni bellissimi e una meravigliosa gita in barca a Cajo Blanco. Sbarcare su quella spiaggia selvaggia e godere di quel silenzio selvaggio; avevamo una spiaggia intera per noi, con un’aragosta, una tartaruga e un uccello canterino. Snorkeling e tuffi nella barriera corallina, asciugarsi al caldo sole dei Caraibi, cullata dalla barca su questo meraviglioso mare.

Godere di tutto, stare bene, vivere, avere sole e calore, dentro e fuori. La sera a Trinidad compro un vestitino all’uncinetto fatto dalla signora stessa che me lo vende. Conosciamo anche un pittore, Alejandro, in una galleria dove fanno ottimi cocktail: gli compriamo due quadri.

 

Gli uomini
Altra giornata indimenticabile quella a Cajo Jutias, una spiaggia caraibica bianca e senza fine, mai visto niente di simile. Dopo pranzo arriva anche l’acquazzone tropicale. Quel cielo, quel sole dopo la tempesta, i colori, le mangrovie, quel caldo, le passeggiate – da sola a pulire un po’ la spiaggia dai rifiuti degli schifosi miei simili – il bagno in un mare cristallino che sembra dipinto. Poi: incontrare quel ragazzo misterioso, con uno sguardo che prima mi spaventa un po’. Iniziamo a passeggiare tranquilli lui è dolce, oltre che bellissimo.

Passeggiamo sul lungomare, mi aiuta a scavalcare le mangrovie attorcigliate, ci facciamo un selfie di ricordo, con le facce attaccate, appiccicate; poi mi offre un rum liscio. Butto giù un sorso, lo saluto e torno al pullman. Mi volto e gli mando un bacio. Mi porto tutto dentro. Di questo ragazzo non ricordo neanche il nome, ma ricordo il tatuaggio sul polpaccio, era San Lazzaro; anche lui mi ha insegnato e lasciato qualcosa, fosse anche solo un bel ricordo. A Cuba funziona così, l’arte del piropear esiste ed è reale, i cubani sono dei veri adulatori.

Magari l’uomo con cui stai parlando e che ti chiede di sposarlo e a cui diresti sì subito, ha già una moglie cubana da cui forse ha anche dei figli e una fidanzata straniera, esattamente come me. Eppure vedo meno ipocrisia nelle relazioni rispetto all’Italia, e le donne del resto non sono da meno degli uomini in quanto a libertà.

A Cuba non ho incontrato violenza, non avevo mai paura: camminavo per strada a La Habana lungo il Malecon alle quattro del mattino, per bere un caffè alla funeraria, portandolo via anche per i miei amici. Una cosa importante, importantissima a proposito di ipocrisia: là i neri sono negri, così vogliono essere chiamati, con orgoglio anche.

 

 

La Casa del Joven
Al Barrio Pogolotti – a La Habana, all’inaugurazione della Casa del Joven, il progetto principale del nostro viaggio, Sinergie en Pogolotti – le organizzatrici della festa nonché fondatrici e direttrici del progetto aspettavano noi per iniziare i festeggiamenti. Accanto a me è seduta una ragazzina, Lauren: divisa scolastica, bandierina di Cuba e firma del Che stampata sul taschino. Ci siamo scambiate complimenti sulle rispettive scarpe – i miei stivaletti rosa di cotone piacevano tantissimo a Cuba – poi a un certo punto Lauren si alza, va verso il centro della sala e inizia a cantare la canzone che tutta Cuba ha cantato al passaggio delle spoglie di Fidel.

Sento singhiozzare dietro di me mentre vedo altri asciugarsi gli occhi. Tutti cantano, io faccio il video, e non riesco a non commuovermi. Poi presentano tutti quelli che hanno lavorato o contribuito al progetto in qualunque modo, dai quadri alle pareti di quel pittore bravissimo, alle responsabili, fino a noi! Hanno ringraziato Wayne (Antonio) e Viaggi Solidali, e noi, che ci applaudiamo da soli, felici e orgogliosi di far parte di tutto questo e soprattutto di esserci. Mangiamo un panino in cucina con tutte quelle donne meravigliose, lavoratrici, coraggiose, orgogliose, e un dolcetto fradicio di rum.

È solo un aperitivo però, perché poi ci aspetta un pranzo nella bella sala appena inaugurata e Tonina, Igna e io abbiamo la fortuna di pranzare al tavolo con una donna, una politica del La Habana, affascinantissima e preparatissima. Compro di tutto, bamboline, pupazzetti, una borsa, tutto fatto dalle signore bellissime che erano lì fuori dalla casa Casa Comunitaria del Adulto Mayor sotto il bellissimo sole dell’ultima giornata a Cuba.

Lascio una dedica sul quaderno mentre il pittore riprende tutto, ogni parola che scrivo.

Poi comincia la festa; balli tipici in vestiti tradizionali, presentazione di lavori di ragazzi diversamente abili; durante la festa distribuiscono anche preservativi e volantini sull’HIV. Integrazione, informazione, solidarietà e forte identità multiculturale. Un gran popolo, un gran paese, un grande viaggio.

 

 

Tutto quello che mi è rimasto
Tutte le persone che ho incontrato sulla mia strada a Cuba, per una cosa o l’altra mi hanno insegnato o lasciato qualcosa, come credo e spero di aver fatto io con loro. È stato uno scambio culturale ed emozionale. Antonio e il suo amore sfrenato per questa terra, questo popolo e la sua storia, per Fidel e per il Che, che si commuove insieme a noi davanti alla tomba di Fidel mentre gli scatta la sua prima foto e al Barrio Pogolotti durante la canzone che ha accompagnato il lider maximo nel suo ultimo viaggio; ma anche in molte altre occasioni, l’ho visto commosso.

Ha la rivoluzione nel sangue, mezzo cubano, mezzo italiano, la parte più nascosta. Un idealista puro, gran carattere, grande forza, grande stima, e grande fonte di ispirazione. Tonina e Ignazio, meravigliosi compagni di viaggio, di esperienze e di emozioni: noi tre siamo viaggiatori, non turisti, c’è una bella differenza. Li porto stretti nel mio cuore al pari dei cubani, che mi hanno letteralmente rubato il cuore.

Infine il mio tatuaggio. Per caso sono capitata da Pablo, appassionato di arte, arti marziali, bonsai e Bruce Lee, oltre che di tatuaggi, soprattutto. È l’ultima sera, ed eravamo tutti insieme mentre mi facevo tatuare da Pablo, in quella casetta in una calle periferica della Habana: Tonina, che riprendeva e fotografava tutto, Ignazio che mi ha lasciato finire la sua bottiglia di rum regalatagli da José per il suo compleanno, José e l’amico di Pablo.

Un’esperienza unica: e alla fine mi sono tatuata la firma del Che Guevera con la stellina solitaria. In quel tatuaggio c’è tutto il viaggio, le persone, la natura, i luoghi. Mi porto tutto dentro, anche le guide, bravissime e preparatissime, che abbiamo incontrato, al Cemiterio Efigenia, agli orti botanici, al Quartier Moncada, al Teatro.

Ho chiare anche le immagini dei ragazzi che ballano break dance al parco, in quella pausa relax prima di andare alla Casa Museo del Che a vedere il tramonto e la sera del compleanno di Ignazio, con quella torta colorata a Viñales.

Sono tornata a Milano diversa, più ricca, con più cose anche se con meno cose, di sicuro con meno soldi, ma con più ricordi ed emozioni. Con un porta-pillole vuoto di medicine, ma pieno di orecchini regalati da Tonina, con nuovi amici e nuove amiche, cubani e italiani, con il cuore gonfio di gioia e forse più sano di prima, con più forza e coraggio, umiltà e orgoglio, che sono tra le bellezze e i patrimoni di questa incredibile isola che è Cuba, che mi ha salvata e ridato la vita.

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