Giugno 1993. Sul Fifty ci sono Enrico e Paolo: lui è il mio migliore amico dell’epoca, l’altro è il ragazzo di Milano che ogni anno, in estate, si trasferisce qui. Radio Deejay sta passando il megamix di Molella & Fargetta e, quando è finito, i due partono lasciando tutto acceso. Poco dopo vedi il motorino che scende la collina, curva dopo curva, attraversa la piazza e tira dritto verso il campetto di cemento dove ogni pomeriggio si gioca a calcetto. Tre mesi così, un paradiso.
Tutte le estati fino ai 18 anni le ho passate a casa. Messa così sembra triste ma in realtà non lo era. Vivevo in collina, a Piobesi d’Alba (1300 abitanti ancora oggi): siamo nel Roero, patrimonio dell’Unesco, abbiamo il vino, la nocciola trilobata e paesaggi verdi che, poi, in autunno si tingono di colori bellissimi. Tutte cose che quando sei un ragazzo valuti poco, anzi, il più delle volte ti annoi da morire. Va detto però che l’estate del 1993 è stata una delle più belle in assoluto, e così quelle successive. La mia pre-adolescenza è stata davvero una figata.
Cosa facevamo? Sigarette, motorino, eurodance. Io, Enrico e Paolo la sera andavamo alla croce luminosa sul bricco di Piobesi – che in piemontese significa collina – e si cazzeggiava insieme ad altri. Loro fumavamo le sigarette di nascosto io stavo a guardarli dal momento che avevo solo undici anni e no, non ho mai fumato sigarette in vita mia.
Poi, organizzavamo la feste: quando qualcuno aveva la casa libera portavamo lo stereo in giardino, montavamo alcune luci stroboscopiche comprate da una discoteca andata in fallimento e ordinavamo la pizza. Io venivo chiamato “il dj” ma, in realtà, non avevamo una vera consolle e mi limitavo a portare i cd e a schiacciare play sul lettore. Compravo molti dischi: Dee Jay Parade Compilation, Megamix Planet, Disco Prezioso, gli Alba Volume 1-2-3-4-5, fino ad arrivare a cose più pericolose come Ricky le Roy, Z100 o Robert Miles che incontra i Desireless creando un mash-up tamarrissimo tra Voyage Voyage e Children.
E poi c’era la discoteca mobile: dal momento che eravamo tutti troppo piccoli per entrare nelle discoteche tradizionali, seguivamo ogni festa di paese in cerca di serate dove andare ballare. Quelle più famose erano organizzate dalle radio locali – Radio Valle Belbo o Radio Alba – ma spesso erano cose ancora più improvvisate, ovvero un impianto nella piazza e un dj che pompa hit fino all’ora stabilita dal messo comunale.
Per me era un sogno, conoscevo tutti i pezzi a memoria e mi atteggiavo come se fosse la cosa più seria del mondo, vestito con pantaloni corti sfrangiati sul fondo e le maglie senza maniche (tutto rigorosamente della ‘Energy). In realtà i tre motivi principali per cui un ragazzo poteva andare alla discoteca mobile era: rimorchiare, ubriacarsi o fare rissa (di solito chi non riusciva con il primo obiettivo poi ripiegava sugli altri due).
Facevamo cose illegali? No, e mi stupisco ancora a pensarci. Alle feste trovavi giusto qualche birra e una – dico, una – bottiglia di vodka (di solito alla banana o al melone). La cosa più pericolosa che si faceva era andare in motorino in due o oppure spingere i Fifty oltre i 110 km/h (chi ci riusciva). E c’è da ammettere che molti di quei bolidi non avevano marmitte proprio regolari. La prima canna l’ho vista al concerto dei Pitura Freska nel 1996 in un altro paese non troppo distante dal mio. A quel punto ho smesso con la dance ed è iniziato il periodo rasta.
L’intera collezione di dischi tamarri l’ho poi baratta nel 1999 in cambio di un casco di seconda mano. Uno dei più grandi sbagli di sempre.