Quando ho saputo che Netflix Italia avrebbe mandato in onda lo show Grillo vs Grillo, del comico italiano Beppe Grillo, spacciandolo per stand up comedy, ho avuto un sussulto di rigetto. Non tanto per l’accusa di sponsorizzare la campagna del leader di un movimento politico, ma per la definizione del tutto fuori contesto.
Che io sappia, la stand up comedy nasce negli Stati Uniti grazie a Lenny Bruce e negli anni ci ha regalato perle di George Carlin, di Bill Hicks e dei loro eredi odierni, uno tra tutti Louis CK, anche lui presente coi suoi monologhi su Netflix (USA).
Come mi ha fatto notare Giorgio Montanini in una recente intervista, non basta stare in piedi e fare due battute per definirsi tale. Lo spettacolo di Beppe Grillo non ha niente dello stile americano con cui viene pubblicizzato. In realtà, in quella oretta e mezzo, Grillo fa cabaret e propaganda politica. Non satira, propaganda.
Beppe Grillo entra in sala dopo un video che lo ritrae come una specie di dittatore dal futuro e inizia a prendersi in giro, parlando del fatto che il Movimento 5 Stelle è stato un equivoco, che come si muove qualche associazione s’incazza, che la sua famiglia lo prende in giro “mi passi il sale?” – “uno vale uno, prenditelo da solo”. Se il pronome io fosse un mattone, con tutte le volte che lo dice si potrebbe costruire una metropoli.
Lui era un comico scomodo, ci racconta, che comunque se la passava bene e avrebbe potuto stare a godersi i soldi e la villa, invece grazie a Gianroberto Casaleggio si è messo in testa di fare qualcosa per gli altri, senza alcun ritorno personale, dice. E poi non capisce com’è che non lo voti il 100% dell’elettorato, com’è che possa essere frainteso.
Un po’ come Berlusconi prima e Renzi poi, si fa carico del bene comune a livello personale e crede che la sua formula sia talmente l’unica possibile, tanto da rimanere stupefatto del perché non sia diventato l’Imperatore buono. Continuo a non ridere, mai, perché sono intimamente convinto che a fare il capo popolo, un minimo di ritorno d’immagine ce l’abbia avuto e che il suo blog, da cui passa ogni azione del Movimento 5 Stelle, possa essere una fonte di guadagno. Ma ripeto, non me ne frega niente di giudicarlo dal punto di vista politico, a regola, secondo quanto dice Netflix Italia, quello è lo spettacolo di un comico.
Grillo si contraddice talmente tante volte da perdere il conto, prima parla di quando era giovane, di com’era semplice la vita, dei travestiti che erano donne col belino mentre oggi se glielo dici s’incazzano (e infatti si sono incazzati). Battuta davvero brutta che oltretutto è stata copiata pari pari da Anthony Jeselnik, con un unico problema: la battuta originale, contestualizzata fa ridere, quella di Grillo no.
Dopo aver parlato di come si stava bene ieri, ci parla di come si sta bene oggi, con internet e i giovani e la retorica e tutte le cose che ci puoi comprare, tipo il plug anale coi brillantini, e ancora di quando ha accompagnato il famoso architetto e amico Renzo Piano a ricevere un premio, durante il quale ha fatto una battuta divertente.
Sembra quegli zii che da giovani rimorchiavano le tipe con le barzellette e oggi sono vecchi ma si credono ancora irresistibili, mettendo tutti in imbarazzo nelle situazioni conviviali. Non riesco a ridere perché Grillo, nel suo monologo, se lo dice da solo che è figo, che è un santo, che è famoso, che è ricco e pure che è tanto, tanto divertente. Ha così voglia di parlare di se stesso che parla anche sopra il video in cui lui stesso parla. Inception dell’ego.
Durante tutto lo spettacolo si comporta da imbonitore, una specie di Ron Hubbard genovese con un pubblico, tra cui Gino Paoli e Luigi Di Maio, che lo applaude, che annuisce, che bisbiglia “È vero, ha ragione”. In poche parole, è un comizio con qualche battuta, niente di più. “Ognuno ha gli immigrati che si merita”, e giù applausi. Usa l’aggettivo albanese come dispregiativo, e giù applausi.
Ci fa sapere che ha detto di no a Berlusconi che lo voleva alla conduzione di OK il prezzo è giusto e che gli avrebbe dato 17 miliardi di lire in cinque anni. “Se mi avesse proposto 3 milioni al mese, lavorare 10 ore al giorno e farsi il culo, avrei preso in considerazione l’offerta.” Applausi che viene giù il teatro e io da casa, sul divano, con una gastrite che nemmeno un cocktail di Malox e Levopraid poteva farmi passare. Alla fine fa mangiare i grilli al pubblico perché loro diventino lui. Una comunione che sa di setta, la cosa più lontana dalla risata che abbia mai sperimentato.
Capisco benissimo che Netflix Italia abbia bisogno di andare sul sicuro, ma trattare Beppe Grillo alla stessa stregua di Louis CK non è onesto, perché Beppe Grillo non è uno stand up comedian, oggi è un politico che fa battute e il suo seguito non sono i fan, ma gli elettori. Netflix USA spesso si prende dei grossi rischi ma difficilmente dice una cosa per un’altra. È vero che l’Italia è in ritardo 50 anni sulla comicità nel mondo, ma comici come Mauro Fratini, Francesco De Carlo, Filippo Giardina, Velia Lalli, Francesco Capodaglio, Pietro Sparacino, Giorgio Montanini e poi ancora i Jackal, quelli di Lercio, Alessandro Gori, Stefano Rapone, Martina dell’Ombra fino ad arrivare a un one man show di Rocco Tanica, beh, ce ne sono di opzioni riguardanti la nuova comicità che possono essere condivise col grande pubblico prima di andare di fatto a sponsorizzare uno show che sa di campagna elettorale a tutti gli effetti.