Philomena ha una storia potente, che punta dritta all’emotività dello spettatore. La storia è quella di una donna settantenne, che in gioventù è stata costretta a dare in adozione il proprio “figlio del peccato”, dalle suore di un convento lager, nell’Irlanda degli anni 50. Decenni dopo, con l’aiuto di un giornalista si mette sulle sue tracce.
Stephen Frears presenta al Lido una storia d’impatto, dramma oltre il livello di guardia, stemperato dai continui botta e riposta tra Judi Dench e Stece Coogan, entrambi da premio. Due interpretazioni pesantissime, pure troppo, diceva qualcuno. All’uscita dalla sala, infatti, la sensazione è che Dench e Coogan si siano mangiati il film e che la storia, per quanto drammatica e importante, sia solo un enorme pretesto per mettere i due attori nella stessa stanza. Non appena il loro rapporto cala di intensità, Philomena ha un calo sensibile e dialoghi e scene si fanno artificiosi. Aggravante: in un film in cui gran parte del lavoro è compiuto dai dialoghi, emergono senza pietà alcune battute messe in bocca a Steve Coogan solo per ammiccare a un pubblico “impegnato” (aggiungere virgolette a piacere, ma il termine è questo). Passaggi a vuoto che nulla tolgono a una signora sceneggiatura, va detto. Accolto alla Mostra di Venezia con vero entusiasmo, Philomena è in realtà un buon film, interpretato da due attori enormi, ma nulla più. Purtroppo.
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