Una miniserie ambientata a Williamsburg, quartiere di Brooklyn caratterizzato dalla forte presenza di ebrei hasidici, ma girata a Berlino. La lingua parlata nella maggior parte delle scene è lo yiddish: “una lingua che nessuno capisce, che riguarda tradizioni e rituali che nessuno capisce. Ma l’essenza degli eventi raccontati ha un valore universale“, spiega Deborah Feldman, autrice del suo libro di memorie del 2012, un’autobiografia cui la miniserie Netflix si è ispirata.
https://www.youtube.com/watch?v=-zVhRId0BTw
Si tratta di una delle prime serie che ritrae la comunità chassidica in modo autentico ed esplora i problemi affrontati dalle donne nella comunità, costrette a seguire rigide regole. Le donne, ad esempio, non possono cantare o studiare musica e non possono leggere la Torah; i matrimoni sono combinati e le donne hanno il preciso scopo di procreare. Ma la storia di Esty è una storia sulla libertà, sul coraggio, sulla diversità, sul diritto di essere ascoltati. “È la storia di una donna che va in cerca di sé stessa e della sua comunità nel mondo“, che fugge verso Berlino da un matrimonio combinato infelice, viene inseguita dal suo passato ma riesce a scegliere di vivere una nuova vita.
Una storia commovente e che trattiene un fascino incredibile, rilasciato di scena in scena, di particolare in particolare, svelando un mondo che non conosciamo e che raramente viene rappresentato: il mondo ultra-ortodosso degli ebrei Satmar, perlopiù discendenti di sopravvissuti dell’Olocausto e trasferitisi a NY dopo la guerra. Il trauma dell’Olocausto per le prime generazioni di ebrei Satmar, “costituì l’essenza delle strutture ideologiche della comunità“. Ideologie tradizionalissime che si incontrano e si scontrano con un mondo moderno, diverso, rappresentato dalla Berlino contemporanea e dalle sue architetture squadrate, la sua musica, i cafè, i club. Una città aperta, post-bellica, nuova e sconosciuta cui Esty può mostrare fiera i suoi capelli e la sua carne, anche attraverso il suo primo paio di jeans e il suo primo rossetto rosso.
“Berlino è paradossalmente diventata una nuova diaspora, perchè ci sono tanti ebrei israeliani ed ebrei americani che tornano in questa città… è un movimento, non è una storia individuale”, sottolinea Deborah Feldman in Making Unorthodox, documentario girato da Netflix sul processo creativo della serie. Attraverso la storia di Esty, quindi, non si vuole rappresentare un mondo giusto che vince su un mondo sbagliato, ma si vuole raccontare la libertà e il diritto di poter essere, amare, credere, vivere come si vuole.
Una miniserie da guardare davvero tutta d’un fiato, interessante e affascinante per il mondo in cui ci fa entrare e, in una parola, bella. Per non parlare della splendida Shira Haas, attrice israeliana dal volto magnifico: “le basta muovere una parte del viso per farti ridere o piangere“. “Un’attrice piena di talento, dotata, instancabile. È stata una vera gioia poter lavorare con lei tutti i giorni“, racconta la regista Maria Schrader.
Unorthodox sarà il debutto di successo dell’attrice classe ’95, ne sono sicurissima. Come sono sicurissima che uscirà una seconda parte della miniserie Netflix. Speriamo, intanto voi guardatelo.