Vado nei boschi circa tre volte all’anno, non di più, e solo perché i miei hanno una casetta in montagna, altrimenti non esisterebbero nemmeno quelle tre volte. Sono un grande fan di luoghi abbandonati, ma non mi metto a scavalcare cancellate per farci un giro. Non frequento messe nere, sedute spiritiche, evocazioni di spettri. Ovvero: non ho legami con il 90% dei contesti alla base dei film horror.
Però passo almeno una dozzina di ore al giorno davanti allo schermo, collegato ai social e con mille input che arrivano da ogni parte. Ecco perché un film come Unfriended mi ha preso e pure un po’ esaltato. Unfriended, film di Levan Gabriadze del 2014 in uscita il 18 giugno in Italia, è la storia della vendetta postuma di Laura, ragazza costretta al suicidio da un atto di cyberbullismo, ovvero la pubblicazione di un video su YouTube e successiva denigrazione ad opera di un gruppo di coetanei.
Nell’anniversario della morte, ai suoi amici iniziano a succedere cose strane: niente porte che cigolano o finestre che sbattono, né spiriti volanti. Tutto Unfriended è infatti ambientato sullo schermo del computer di Blaire, amica della ragazza morta, all’interno di una chat video di gruppo con altri cinque ragazzi. Pezzi di videochiamata collettiva, messaggi in arrivo da Facebook, foto postate sui social, link a YouTube: tutto il film si sviluppa in questo modo, raccontando come la povera Laura si vendichi usando gli stessi strumenti che l’hanno spinta al suicidio.
La storia in sé, ovvio, non è niente di nuovo, quello che conta è il modo in cui viene raccontata. Un modo diverso e vicino alla vita quotidiana di tantissime persone. E se vi state chiedendo se il film riesca a reggere nonostante una scelta così estrema, la risposta è sì: Unfriended è un mezza bombetta, con momenti un po’ splatter e saltelli sulla sedia.