Thor: Love and Thunder non sarà ricordato come il migliore film di Taika Waititi ma neppure come il peggiore della fase 4 dei Marvel Studios.
Thor: Love and Thunder a più riprese ha davvero sfiorato il titolo di “Totò contro Maciste” in salsa supereroistica per i Marvel Studios. Già perché al netto dell’ottimo lavoro, dal punto di vista squisitamente tecnico, operato da Taika Waititi alla regia, a parte per qualche scena di combattimento in CGI un po’ troppo cartoonesca, il nuovo, o sarebbe meglio dire ennesimo (!) film sul dio del tuono, presenta più di un difetto. E, intendiamoci, vi sono delle cose buone: innanzi tutto le singole prove di certi attori, su tutti Christian Bale che ha dato forma e sostanza a un personaggio come Gorr che di solito aveva la profondità di un foglio di carta velina. E invece Bale (e il consiglio è se avete la possibilità di recuperare il film in lingua originale) riesce invece a regalarsi tutta un’interpretazione fatta di picchi espressivi e di gole di terrore da ricordare. Anche dal punto di vista dell’estetica il suo “macellatore di dei” convince (e in fondo, vilipeso e illuso da un dio borioso e egoista, tutti i tori non ce li ha). Ottime anche le prove di Natalie Portman, nei convincenti panni della “Mighty Thor” (per citare l’eccezionale run fumettistica) e di Russel Crowe, che interpreta uno Zeus “da operetta” con un accento “simil greco” veramente azzecato. Interessante anche la colonna sonora, tutta air-rock-metal e il colpo d’occhio di certi scenari molto riuscito.
Peccato che per queste cose positive ve ne siano altrettante, se non di più che proprio non funzionano. Innanzi tutto, non volendovi anticipare troppo della trama, “la risoluzione” della vicenda, al netto della soluzione quantomeno banale, viene effettuata tramite un “artificio” talmente potente e definitivo che al confronto, e non sto scherzando, le gemme dell’infiniti di thanosiana memoria paiono già delle semplici mentine colorate. E già questo, da solo, è un errore talmente grande, un retcon talmente di peso da far vacillare l’intero castello. Ma pazienza, siamo ormai abituati ai retcon e quindi pace. Quello che invece, almeno a livello personale, mi ha lasciato più stordito è che per il quarto film consecutivo, più i tre Avengers, assistiamo nuovamente a Thor in cerca di se stesso. So che pare incredibile ma è proprio così: ancora una volta il figlio di Odino non solo non si sente degno ma sente anche di non avere ancora trovato un posto nel mondo. E allora che? Invece di, per dire, “arruolarsi a tempo pieno” nella ciurma dei Guardiani della Galassia, che ci sono ma che presto se ne andranno, decide, letteralmente, di fare il deficiente per tutto il tempo. Roba che a confronto Son Goku in Dragon Ball Z è Sun Tzu. Peccato perché al netto dell’umorismo che, necessariamente, “ci deve” sempre essere nei film Marvel e Disney per il pubblico di riferimento (anche se non si ci si fa troppi problemi, qui, a parlare di orge fra dei), un po’ più di accuratezza nel delineare un personaggio come Thor avrebbe fatto piacere, specialmente dopo tutti questi anni di lavoro. Bene invece le scene post-credit: quindi il consiglio è di rimanere sulle poltroncine del cinema, mi raccomando!
Così non è stato e quello che sarebbe potuto essere uno scontro rapido si trascina per quasi due ore di film. Intendiamoci: il ritmo è buono, non si assistono a cali incredibili come in Black Widow per intenderci ma ahinoi si è ben lontani dall’ultimo Doc Strange giusto per capirsi. Ci sono momenti in cui tutto sembra talmente tirato e deciso solo per “allungare il brodo” con battute buttate un po’ lì anche in momenti tragici e di tensione che la sensazione di essere di fronte a una specie di “Totò contro Maciste” è tangibile. Per me, che avevo apprezzato Thor:Ragnarok intendendolo come una sorta di divertissement pre-Infinity War questo Love and Thunder, nonostante un paio di ottime trovate, è un passo indietro. Ho sentito, parafrasando una battuta del film, solo il suono del tuono e non la potenza del fulmine.