Tentare di capire e di razionalizzare The OA è un’impresa titanica. Già con la sua prima stagione, la serie tv ideata da Brit Marling e Zal Batmanglij si configurava come un prodotto complesso, immaginifico al limite del folle e nato per innescare una lunga serie di suggestioni a catena. Con la sua seconda parte, The OA porta a maturazione gli spunti precedentemente offerti ed esplode in una miriade di possibilità, di mondi, di idee, di personaggi, di punti di vista, di momenti da genuino what the fuck, ma anche di occasioni per chiedersi: da dove diavolo è uscita fuori questa storia assurda con gli angeli che ci dà continuamente i mezzi per non crederci?
Nella prima stagione, Prairie Johnson torna dalla propria famiglia dopo essere scomparsa per sette anni. Era cieca, ma quando ricompare miracolosamente vede. Le uniche persone alle quali racconta la propria storia sono quattro ragazzi problematici e una professoressa triste, che vengono catapultati in una storia di rapimento ed esperimenti incredibili. Prairie si fa infatti chiamare The OA, the original angel, e sostiene di aver bisogno del loro aiuto per trovare i compagni di prigionia, spediti in un’altra dimensione dal rapitore, Hunter Aloysius Percy, detto Hap. Per seguirli, OA ha bisogno di cinque persone che eseguano una precisa serie di movimenti, una coreografia sincronizzata capace di spalancare la porta su altre versioni di loro stessi.
La seconda stagione ci mostra che la coreografia ha funzionato. OA è arrivata in una dimensione dove si chiama Nina Azarov. Mentre lei tenta di rimettere insieme i pezzi della propria identità, il detective privato Karim Washington cerca una ragazza scomparsa a San Francisco, e scopre un videogioco criptico connesso a una casa misteriosa, costruita da un ingegnere di inizio ‘900 per la moglie medium. Si dice che chiunque vi entri tenda a diventare matto. Contemporaneamente, la professoressa e gli studenti che hanno spedito Prairie in un altro mondo affrontano il peso della sua scomparsa, elaborano, dubitano, ma rimangono parte della rete spirituale che OA ha costruito, come un cluster di Sense8 che funziona attraverso le pieghe di un multiverso.
Tra il primo blocco di episodi e il secondo, ci sono fili di Arianna tematici che ci aiutano a non perdere la rotta pur sfociando in una nuova dimensione. Uno di questi è il linguaggio. Nella prima stagione il tema era declinato sul concetto di narrazione, sulla possibilità di avviare un processo di aggregazione sociale e di maturazione emotiva attraverso la parola (la confessione di Prairie), ma anche attraverso l’esternazione fisica del gesto (la coreografia). La seconda stagione è contemporaneamente un’eco e un megafono che amplifica l’approccio della precedente. Qui il linguaggio e la narrazione sono ancora spinta all’azione, ma sono anche elemento orizzontale che mette in comunicazione i personaggi in maniera inedita. C’è ancora la confessione (anche psicanalitica) e la coreografia, ma c’è anche un nuovo peso dato ai suoni, agli oggetti e al linguaggio non verbale. Il passaggio di informazioni si fa quindi fondamentale, ma anche subdolo, perché tende ad anticiparci dettagli e soluzioni che troveremo (forse) solo molto più avanti nella serie, se non addirittura alla fine.
Esempio. Nel primo capitolo della nuova stagione, uno dei personaggi secondari (ma non marginali) ci offre la chiave di lettura che a mio avviso meglio si presta a maneggiare l’intero blocco di episodi in maniera trasversale. Parlando del gioco connesso alla ragazza scomparsa, Fola dice: “Alla fine un puzzle è una conversazione tra giocatore e creatore. Il creatore del puzzle ti sta insegnando un nuovo linguaggio, come sfuggire al limite del tuo stesso pensiero e a vedere cose che non sapevi ci fossero.” Il concetto e la struttura del puzzle, insieme a quella del labirinto e del sogno, tornerà in continuazione negli episodi successivi, tanto da portarci a dire che The OA parte due è di per sé un puzzle gigante che ne contiene moltissimi in miniatura. Ogni elemento è pensato per incastrarsi con altri, formando un’immagine nitida solo se guardata da un livello superiore, in prospettiva.
L’immagine completa è quindi costituita di piccoli tasselli, che contengono al loro interno in fase germinale tutta la complessità dell’intero. Marling e Batmanglij sono i creatori che ci invitano a scoprire elementi che pensavamo inesistenti, a far caso ai dettagli, alle connessioni, alle radici. Il nesso con la Madre Terra in The OA si fa più evidente di episodio in episodio e dona alla protagonista Prairie/Nina un’aura di paganesimo esoterico tutt’altro che accennato. OA è un angelo, ma non del tipo cristiano con le ali e l’aureola. Riprendendo l’etimologia greca della parola angelo, che si può tradurre come servitore o messaggero, OA plasma la propria missione sulla figura di Hermes, comunemente definito “il messaggero degli Dei“, ma che era anche colui che accompagnava le anime dei defunti nell’Aldilà, facendosi quindi traghettatore tra mondi, nonché abile ambasciatore del Logos, ovvero l’arte della parola.
Il concetto di angelo viene ridefinito da The OA con una protagonista che è insieme eccezionale e profondamente umana. Prairie nel corpo di Nina deve fare i conti con due versioni di se stessa fuse in una, deve accettare i vizi, placare l’invidia ed entrare in simbiosi con parti della propria storia che pensava di aver perduto. Una volta trovato l’equilibrio, OA può finalmente riconnettersi a pieno con la propria famiglia interdimensionale, sparsa per il multiverso ma comunque legata attraverso lo spazio e il tempo. La definizione di angelo ce la darà la stessa OA nell’episodio finale della stagione, nel momento in cui affronta Hap, l’eterno nemico, e torniamo lì, alla nozione 100% umana del potere come unione delle forze, legame sociale, visione condivisa che si oppone al rancore: “Nina ha visto tutto il mondo, ma io ho visto cosa c’è sotto. Sono stata pressata come carbone. Ho sofferto. Ecco cos’è un angelo. Polvere pressata fino a diventare diamante sotto il peso di questo mondo. Tu mi hai schiacciata… prima che avessi la possibilità di diventare qualcosa. Tu mi hai schiacciata, ma non mi hai distrutta. Sono morta e tornata in vita con quello che tu non avrai mai. Tu hai violenza, e terrore, e solitudine. Io ho potere, noi abbiamo fede.“