“You had to be there!” Dovevate essere lì!
Inizia così questo film; poi tanto non vi svelo moltissimo, che secondo me se amate i Doors, ma anche solo la musica bella, fatta bene, o magari se siete “addetti ai lavori”, dovreste andare a vederlo questo film, e a sentirlo. Lo schermo è tutto nero, senti già la gente che urla e leggi “You had to be there!”.
A me è venuta la pelle d’oca.. Dev’essere stato davvero un concertone quello dei Doors il 5 luglio all’Hollywood Bowl. Perché “The Doors live at the Bowl ’68” è un concerto, non è né un docufilm, né un film vero e proprio come quello di Oliver Stone con Val Kilmer-Jim Morrison e Meg Ryan-Pamela, sua moglie. È un live, registrato allora e rimasterizzato oggi dallo stesso fonico, Bruce Botnick, che all’epoca lo registrò su un otto piste a bobina, e che grazie alla moderna tecnologia ha potuto ricostruire il video integrale del concerto con immagini nitide e un audio perfetto. Il film poi ha una parte di contenuti extra e documentari che introducono il live: interviste alla band, ai Chambers Brothers, il gruppo spalla di quel concerto, agli amici, a chi ha lavorato per quel concerto e per questo film. Raccontano gli antefatti, la preparazione, l’eccitazione, le aspettative del gruppo, le curiosità, gli aneddoti (c’era Mick Jagger, per esempio, in prima fila con la moglie di Jim e tutti gli Stones a godersi il concerto dopo aver mangiato e bevuto tutti insieme). La curiosità di vederli e sentirli aumenta.
Il concerto è emozionantissimo, senza trucchi, senza megaschermi, senza effettoni di luci o comparse o accessori speciali, anzi, piuttosto buio, intimo, nonostante la gente infinita. Solo loro quattro sul palco e la loro musica, ovviamente, che letteralmente deve aver invaso quelle persone, schiacciate all’inverosimile in quell’arena, ma serene, felici. Jim continua a ripeterlo e domandarlo per tutto il concerto: “Mi sembra che stiate tutti bene, no?”
Ritmi dilatati, lunghissimi momenti strumentali con Jim che viaggia nella sua testa per conto suo, poi balla, poi recita una poesia, poi canta. Un artista, uno sciamano davvero, un poeta, con una voce potentissima e sensualissima.
Io non ho voluto leggere prima la scaletta del concerto sulla cartelletta stampa e quindi non la scriverò nemmeno qui, perché credo che rovini la sorpresa. Basti sapere che il live comprende alcune tra le più belle e toccanti canzoni dei Doors, alcune delle quali all’epoca ancora inedite come “Hello I love You” e “Spanish Caravan”; fanno “Light My Fire”, “Albama Song”, “When The Music’s Over”, “Back Door Man”, “The End”.
Pezzi meravigliosamente belli e davvero magici. Perché i Doors qualche porta te la aprono davvero. Sarà proprio quel misto di jazz, blues e psichedelia, ma anche la musica indiana, il flamenco; e poi ci sono la voce e le parole di Jim Morrison e Jim Morrison stesso. Che nonostante l’acido che si è preso prima dello show (e quasi nessuno ha dubbi sul fatto che l’abbia preso) al Bowl ha regalato una delle sue performance migliori. Impeccabile, trascinante, travolgente.
Ascolto le canzoni, guardo il gruppo, si sente l’alchimia che c’è tra loro. È roba di 45 anni fa. Eppure l’eredità musicale che hanno lasciato i Doors è influente più che mai e le canzoni-poesie di Jim Morrison sono attualissime.
Da vedere e sentire con tutte le porte della percezione spalancate.
Solo il 27 febbraio in 300 sale.