Una parabola come quella di Takeshi Kitano (Tokyo, 18 gennaio 1947) in Italia sarebbe molto difficile, perché sdoganarsi dall’intrattenimento comico per diventare regista di spessore sembra non sia contemplato nella nostra cultura e i molti attori o registi che ci hanno provato, poi sono tornati con la coda tra le gambe alla loro occupazione precedente.
Ricordate Mai dire Banzai, il primo programma in cui una giovane Gialappa’s commentava i giochi giapponesi allucinanti e sadici, in cui alcuni concorrenti invasati dovevano superare degli ostacoli difficilissimi per arrivare al traguardo? La maggior parte di quelli che abbiamo visto erano tratti da Takeshi’s Castle, programma ideato e spesso condotto da Takeshi Kitano, lo stesso che nel 1997 ha vinto il Leone d’Oro a Venezia per il film Hana-bi – Fiori di fuoco.
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Kitano, come racconta nel libro autobiografico Asakusa Kid, ha esordito come cabarettista e teatrante in un locale di spogliarelli di Tokyo, col nome di Beat Takeshi, un alias che ha voluto mantenere per i suoi lavori da autore televisivo.
Parallelamente alla tv d’intrattenimento, ha iniziato anche la carriera d’attore, che l’ha portato a creare un personaggio dalla faccia di pietra, di poche parole e molta azione, che di solito ha rapporti con la Yakuza. Niente film con gli effetti speciali all’americana però: i gangster movie di Kitano sono profondi, introspettivi e poetici anche quando trattano l’aggressività e la violenza.
La sua prima regia è del 1989 con Violent Cop (traduzione del titolo originale: Attenzione, quest’uomo è estremamente violento). All’inizio, Kitano era stato scritturato solo come attore principale e la storia era una sorta di commedia. Quando Kinji Fukasaku, il primo regista, abbandonò il progetto, Kitano riscrisse praticamente tutto il film facendolo diventare talmente brutale e amorale da fare scuola.
I gangster film di Kitano sono diventati un genere di culto a sé stante. Mai nessuno come lui ha descritto la criminalità con un alto senso dell’onore e insieme priva della più elementare pietà. Tra i vari film di malavita, Sonatine del 1983 è un indiscusso capolavoro, per come il gangster tradito si trova a fronteggiare il destino ineluttabile, giocando con la morte.
Una menzione particolare va alle musiche di Joe Hisaishi, uno dei più grandi compositori giapponesi che accompagnerà Kitano nei suoi film più famosi e che ha guadagnato la notorietà internazionale per aver firmato tutte le colonne sonore dei film di Miyazaki dello Studio Ghibli.
Ma Kitano non è solo film di sangue e morte. Nel 1991 firma il suo primo film di pura poesia. Si intitola Il silenzio sul mare e parla di un ragazzo sordo che decide di imparare a surfare. Una storia d’amore e di rivincita del tutto opposta ai film di Hollywood, fatta di silenzi e di malinconia diffusa che riesce ad avvolgere lo spettatore e a trasportarlo in un mondo a parte con poche, semplici inquadrature.
Come abbiamo accennato sopra, il successo in tutto il mondo arriva dopo che il suo capolavoro assoluto Hana-bi – Fiori di fuoco, vince il Leone d’Oro alla 54a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Per la prima volta, Kitano mischia le carte in tavola e crea un connubio tra la violenza e la poesia, tra l’arte e il dramma. Il regista stavolta non interpreta un gangster ma un poliziotto dai modi rudi che ha avuto problemi con la yakuza, che si rivela una persona fragile che cerca di aiutare in ogni modo possibile la moglie, malata di leucemia. Il finale strappa letteralmente il cuore.
Una curiosità: nel film, il suo personaggio come hobby dipinge quadri, che nella realtà sono opera dello stesso Kitano.
Il film seguente, L’estate di Kikujiro del 1999 segna il raggiungimento di apici di dolcezza mai sperati, in una storia che ha come protagonista un bambino alla ricerca di sua madre, che viene accompagnato nel viaggio da uno strambo amico di famiglia, interpretato dallo stesso Kitano, che inizia il piccolo alle corse dei cani, alla truffa e anche alle asprezze della vita vera. Tra i due si instaura un legame profondo e l’estate che passeranno insieme li cambierà per sempre. Un film talmente bello che vale la pena guardare minimo una volta l’anno, quando la fiducia nel genere umano sembra venir meno.
Nel 2002, Kitano firma un film d’arte pura, che lascia estasiati per la sua bellezza. Si intitola Dolls e in molto l’hanno definito una sorta di suicidio artistico del regista. Tre storie che parlano di dipendenza e cura, tre parabole piene di silenzi e simbolismi. Dopo la prima sequenza in cui si vedono le bambole del teatro Bunraku, nel primo episodio i protagonisti sono due amanti letteralmente legati, che vagano nel purgatorio terrestre per espiare le proprie colpe.
Il secondo episodio è il ricordo della tragica storia d’amore tra un ormai vecchio boss della yakuza e una ragazza che ogni fine settimana lo aspettava al parco per pranzare assieme. Quando il protagonista le dice che si trasferirà dalla città, la ragazza lo aspetterà per sempre su quella panchina. Il terzo episodio è quello più estremo: una cantante pop perde un occhio e il suo fan più sfegatato decide di cavarsi gli occhi per non metterla a disagio. Solo il ricordo del film mette i brividi di vario tipo anche a anni di distanza.
Anche se Dolls è l’ultimo grande film di Kitano, Zatoichi del 2003 è molto divertente. Un film in costume su samurai, con effetti speciali e schizzi di sangue volutamente esagerati. Alla fine si è rivelato il più grande successo al botteghino in tutto il mondo per il regista. L’inaspettato finale musical mette tutti d’accordo.
Purtroppo i film successivi non sono riusciti a riportare Kitano ai fasti delle sue migliori pellicole, ma lo attendiamo come co-protagonista insieme a Scarlett Johansson nel film Ghost in the Shell che uscirà il 30 marzo 2017.