In Spider-Man: Across the Spider-Verse le componenti anime e psichedeliche diventano ancora più protagoniste. Con un’attenzione ancora maggiore per la scrittura dei personaggi.
A conti fatti, realizzando un giudizio molto più dettato dal cuore piuttosto che dal cervello, potrei dirvi che l’unico vero difetto di Spider-Man: Across the Spider-Verse sia la sua natura da “part 1”, visto che è stato ideato per essere sì seguito diretto di Into the Spider-Verse ma anche e soprattutto come, appunto, prima parte di Beyond the Spider-Verse. Tuttavia, anche dal punto di vista proprio della qualità generale e intrinseca, il film d’animazione di diretto da Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson è una sorta di meteora per i cinefili e gli appassionati, per la sua brillantezza e bellezza in ogni suo comparto, dalla qualità delle animazioni, all’attenzione per la scrittura sino al comparto sonoro e alla direzione artistica.
La storia di Miles Morales, che abbiamo imparato a conoscere nel precedente film, diventa ancora più complessa: così come il nostro protagonista è cresciuto nel corso degli anni, sono anche cresciute le sue responsabilità, a cui si dovrà fare carico nonostante l’apparente casualità con cui è diventato Spider-Man. Questo carico aumentato è simboleggiato anche da quella che è, sul serio, la co-protagonista assoluta del film (se non proprio “la” vera protagonista della pellicola): ovvero Spider-Girl, aka Gwen Stacy. L’intro del film, infatti, è completamente dedicato a lei in una delle scene che, personalmente, ho giudicato più felici, sia dal punto di vista della regia sia dal punto di vista della scrittura: Gwen è un personaggio anch’esso maturato, con tanti conflitti nel suo cuore e una corazza messa a protezione di un animo ferito. Proprio da lei partirà l’intera azione/narrazione del film che, va detto, con grande acume, ancora una volta, affronta l’argomento vasto “multiverso” nel modo più convincente, coerente e solido dell’intero ecosistema dei cine-comic.
Dal punto di vista, poi, del charachter-design e della direzione artistica generale rispetto ad Into the Spider-Verse, questo “Across” è molto più “anime-style”: si sono quasi del tutto abbandonate le onomatopee scritte a schermo per abbracciare un’animazione pastosa e agglutinante, iper colorata e caratterizzata da una deformazione dei personaggi, anche e soprattutto dal punto di vista “fisico”, che ricorda moltissimo le versioni animate di My Hero Acadamea o Jujutsu Kaisen. Anche il grande (e fighissimo) villain di questo capitolo (ma probabilmente anche del prossimo) il famigerato Macchia viene ritratto sul serio come un “cattivo” degli anime. La sovrapposizione degli stili, presente nel film precedente, è sì ancora presente ma in maniera meno preponderante, fornendo una coesione generale che, senza ombra di dubbio, giova nelle scene più concitate. Che sono tante e numerose in questo film, al tempo stesso contraddistinto da personaggi solidi e centrali ma anche corale, anzi coralissimo.
Nonostante una seconda parte della prima metà in cui, forse, l’azione rallenta troppo (ma è proprio qui che si approfondisce il rapporto tra Miles e i genitori, con un battute e dialoghi scritti divinamente) il ritmo è sempre forsennato e riesce a tenere incollato sulla poltroncina del cinema la spettatrice e lo spettatore per le oltre due ore e mezza. Insomma una grande “festa per gli occhi” ancora e più grande rispetto ad Across the Spider-Verse. E adesso, con “quel” Spider-Man 2099 così “beast” non ci resta che aspettare con trepidazione il terzo capitolo di questa trilogia che, ne sono certo, farà, forse ha già fatto, la storia del cinema. D’animazione ma non solo.