Qualche giorno fa ero a casa di amici e, dopo un’interminabile settimana lavorativa accompagnata da un caldo che non lasciava scampo, il fine settimana pareva figurarsi come un’oasi in mezzo al deserto. Ecco che, tra una chiacchiera e una bottiglia di prosecco consumata, qualcuno, forse un po’ incautamente, ha acceso la televisione e ha girato su Italia1.
C’era un film in cui un bambino, dopo aver preso una palla da basket, si esibiva in una perfetta schiacciata, sotto gli occhi compiaciuti del padre. Noi tutti, nessuno escluso, abbiamo impiegato pochi secondi per riconoscere di che film si trattasse: era Space Jam e da lì in avanti la nostra serata non sarebbe stata più la stessa.
Il posto delle fragole
Space Jam è uscito negli Stati Uniti nel novembre del 1996 mentre in Italia nel 1997. Erano quelli gli anni, piuttosto mitici va detto, delle telecronache su Telepiù di Flavio Tranquillo e Federico Buffa che, dopo il periodo, un po’ archeologico, in cui era Mediaset – pardon Fininvest – nelle vesti e nella voce di Dan Peterson a proporre l’NBA, contribuivano a rendere il basket il secondo sport più visto e praticato nel nostro Paese, scavalcando il ciclismo, considerato ormai reperto di un passato fatto di duelli e sfide alla Coppi&Bartali, Comunisti&Democristiani che dopo il 1989 non aveva più alcun senso.
Tuttavia non si poteva certo dire che il grado di conoscenza del pubblico nostrano fosse anche soltanto paragonabile a quello di oggi, dove – anche la moda lo esige – sempre più si vedono ragazze e ragazzi con le maglie dei Boston Celtics o degli immancabili Lakers di Los Angeles.
Ma questo gap non ha assolutamente impedito al film di avere un grande successo anche qui in Italia perché questo non era un film sul basket e sui cartoni animati, ma era un film sugli eroi, sugli eroi della nostra infanzia.
Un racconto potente
La trama è semplice, come ogni grande racconto dev’essere: ci sono i cattivi, incarnati dal malvagio Mr. Swackhammer (la cui voce, nella versione italiana, era di Giampiero Galeazzi), direttore di un parco giochi intergalattico e ci sono i buoni, Michael Jordan, il paladino e i suoi cavalieri, i personaggi dei Looney Tunes (che in quegli anni, tra l’altro, avevano subito più volte tentativi di rilancio, spesso falliti, dalla Warner Bros.).
Swackhammer per rinnovare il proprio luna-park vuole Bugs Bunny e compagni e incarica i suoi sgherri alieni di rapirli e portarli sul suo pianeta. Parallelamente a questa vicenda, vediamo Micheal Jordan che, appena ritiratosi dal mondo del basket (quindi siamo all’epoca del suo “primo” ritiro, durato diciotto mesi tra il 1993 e il 1995), cerca di rifarsi una vita giocando, con scarsissimi risultati, a baseball. Ah, ma dicevamo: gli alieni.
Gli alieni sono piccoli e un po’ tontoloni, però sono dotati di una tecnologia invidiabile e, grazie alle loro pistole laser, mettono alle strette i personaggi della Warner. Tuttavia i Looney Tunes decidono di sfruttare il proprio vantaggio fisico: infatti gli alieni sono bassottini e dalle braccia corte, quale modo migliore per decidere la propria sorte in una partita di basket?
Però, come abbiamo detto, gli alieni hanno dalla loro una grande tecnologia. Per affrontare questa partita di basket si mettono alla ricerca dei migliori giocatori del mondo, al fine di assorbirne il talento. I malcapitati sono il meglio dell’NBA di quegli anni, con anche dei componenti del Dream Team di Barcellona ’92: Charles Barkley, Patrick Ewing, Muggsy Bogues, Larry Johnson, Shawn Bradley e Robert Earl Moore Jr. (oggi conosciuto come Ahmad Rashād).
Di fronte a questo strapotere fisico e tecnico, Bugs Bunny sa cosa fare: decide di affidarsi al migliore giocatore del mondo di basket, Michael Jordan. Lo strappa dalla sua nuova vita nel baseball, lo trascina nel fatato mondo dei Looney Tunes, e lo riporta sul parquet. La partita tra i Monstars e i Looney Tunes sarà così decisiva.
Michael Jordan e Bugs Bunny, il Walhalla della pop-culture
Questa trama viene proposta dal regista, Joe Pytka, in un modo perfetto, ovvero attraverso le caratteristiche del grande racconto americano. C’è un gruppo di persone, pressoché oneste, che hanno bisogno di aiuto, i Looney Tunes, poi c’è un altro gruppo di malvagi che, per tutta una serie di motivi, sono portati a fare il male (anche se magari costretti a farlo), ovvero gli alieni e infine c’è, come avevamo detto prima, il cavaliere senza macchia, Michael Jordan.
Ma questo cavaliere, proprio come in un cantare epico medioevale o in una storia western, non può arrivare allo scontro decisivo senza aver compiuto un percorso iniziatico, irto di prove, per giungere all’atto finale. Gli ingredienti della grande storia pop ci sono tutti, dato che utilizzare Michael Jordan nel 1996 come protagonista di un film voleva dire non soltanto scegliere il più grande giocatore di basket del momento ma, senza ombra di dubbio, il più grande sportivo sulla Terra, capace con la sua immagine, la sua linea di abbigliamento e la sua storia di lavoro, abnegazione, riscatto e talento (cosa c’è di più americano di questo?) di costruire attorno a sé un’aurea mitica.
Si aggiungano poi i personaggi dei Looney Tunes che, tutti noi durante l’infanzia, abbiamo saputo conoscere ed individuare come personaggi di famiglia: Bugs Bunny, Taz, Daffy Duck, Beep Beep e Willy E. Coyote fanno parte del nostro immaginario praticamente da sempre. Combinare questi due elementi, scalare questo ideale Walhalla della pop-culture, ha voluto dire rendere Space-Jam un grande capitolo non soltanto per la cinematografia (anche e soprattutto in fatto di vendite) ma anche un punto fermo per capire la nostra società.
Sono i dettagli che fanno il capolavoro
Il film poi presenta tutta una serie di cammei e di piccoli dettagli che, appunto quella sera con gli amici, ho riscoperto, aumentando la considerazione che avevo nei confronti di Space Jam. Innanzitutto il cast, come se cartoni e giocatori NBA non bastassero, è arricchito da grandi, grandissimi attori. C’è, ad esempio, Wayne Knight, che fa la parte dell’assistente di Michael Jordan, una figura caratteristica della cinematografia americana di quegli anni, reduce com’era dal successo di Jurassic Park, nei quali impersonava i panni del diabolico programmatore informatico, dilaniato da un dinosauro nella giungla profonda.
Ma, in questo film, c’è anche e soprattutto Bill Murray che, recitando sì e no, dieci minuti ci regala una delle sue più belle interpretazioni. È bene ricordarlo: nel 1996 Bill Murray non era ancora quell’attore di culto che è oggi. Era un attore famoso, che aveva film di grande successo, dall’ovvio Ghostbusters (qui Gabriele Ferraresi vi rinfresca la memoria) a S.O.S. Fantasmi, ma non stava attraversando un grande momento della sua carriera.
Ebbene in Space Jam Bill Murray impersona se stesso, un attore hollywoodiano un po’ annoiato e frustrato che non sa fare di meglio che giocare a golf con ridicoli cappelli e molestare Jordan e il suo amico Larry Bird (ex giocatore dei Boston Celtics) tentando di entrare nell’NBA. Ovviamente tutto il campionario di facce stralunate ed espressioni allucinate di Murray ci sono, ma la perla arriva nel finale.
Infatti, dopo aver sostanzialmente deciso la sfida tra alieni e Looney Tunes a favore di quest’ultimi (celebre la risposta di Murray, alla domanda di Bugs Bunny “Ma come ha fatto a venire qui?” :“Sono amico del produttore”, e il produttore è Ivan Reitman, il regista, guarda caso, di Ghostbusters), Murray si trova assieme a Bird a Chicago, durante la partita di rientro di Michael Jordan con i suoi Bulls. La scena è perfetta: la folla in visibilio saluta Jordan che, dalle tribune, scende in campo.
L’inquadratura si sposta e vediamo Bird e Murray sulle tribune. Bill Murray dice: “Potevo essere là Larry”. L’ex giocatore dell’NBA alza le spalle ed è a questo punto, mentre già le note di “Fly Like an Eagle” di Seal s’iniziano a sentire, che Murray dice la sua battuta fondamentale: “Let’s go Bulls!” e lo dice trattenendo le lacrime con fare malinconico.
Infanzia perduta, infanzia ritrovata
Space Jam è quindi una grande storia per bambini, un bellissimo episodio della nostra infanzia: tutti noi ci ricordiamo, basta un piccolo sforzo, in quale cinema l’abbiamo visto, non importa se qualche multisala o un piccolo cinema di paese. E rivederla a distanza di anni lascia la stessa emozione, se è possibile aumentata quando ci si accorge che la voce del telecronista dell’incontro, nella versione italiana, era quella dell’indimenticabile Sandro Ciotti.
A questo punto è proprio vero: Space Jam, con tutti i suoi eroi pop, è un mito greco contemporaneo cui il mondo ha ancora bisogno dato che si sentirà sempre la necessità di sapere che i buoni esistono e che si chiamino Bellerofonte o Bugs Bunny in fondo fa poca differenza.
Il seguito
Dopo tante voci circolate nell’internet, è stata finalmente confermata la notizia che, il prossimo 23 dicembre, ci sarà la premiere del sequiel di Space Jam, Space Jam 2 che vedrà la partecipazione di LeBron James. Anche Bugs Bunny pare aver confermato di farvi parte.