Poor Things consacra il talento di Yorgos Lanthimos, quello di Emma Stone (oltre che di tutto il cast) e di una certa idea di cinema.
Sapete che cosa è Poor Things, il nuovo film di Yorgos Lanthimos con protagonista una meravigliosa Emma Stone? Beh, è una chimera, solo che una chimera reale. Già perché questo film, ispirato all’omonimo romanzo di Alasdair Gray fa quello che nel cinema mainstream di stampo hollywoodiano, qualsiasi cosa voglia ancora dire questo attributo all’altezza temporale in cui siamo, non si fa mai: osa, si diverte e parla di politica, filosofia e questione di genere, oltre che di questione sociale. Nella storia che, non a torto, molto hanno indicato come una intrigante addizione tra Frankenstein o il moderno Prometeo, Alice nel Paese delle Meraviglie e una piccola porzione di Nymphomaniac e Pygmalion.
Attraverso un uso assolutamente spericolato della regia, che parte dall’utilizzo di lenti focale riesumate dai primordi del cinema a continui cambi di colorazione, attitudine, ambientazione e mood, Lanthimos mette al centro di tutto Bella, una Emma Stone in versione monstre, sia nell’accezione appunto di mostro (essendo, de facto, un cervello di un feto inserito all’interno di un corpo di una giovane donna suicida), sia in quella di eccezionale. Si tratta infatti di un essere umano giovane e adulto al contempo, bimbo e adulto insieme, che quindi tiene unite queste nature che, secondo le consuetudini del “buon vivere borghese” vanno al più presto tenute separate, opposte in pratica. Ed ecco che qui si inserisce l’altra cosa che è Poor Things, ovvero una lavagna dove prendere appunti, sì esatto, una storia di educazione. Una storia di educazione alla vita, all’amore e al pensiero razionale di Bella che da persona vissuta in cattività, prigioniera per molti anni, si ritrova a ricoprire il ruolo della viaggiatrice per eccellenza. Scappando, infatti, dalla casa del padre-dio Godwim Baxter, un incredibile Willem Defoe (che ha recitato con un trucco protesico tanto esagerato da risultare credibile) e dalla promessa di matrimonio con Max Candles, protegè dello stesso dott. Baxter e interpretato da un meraviglioso Ramy Youssef.
Il motivo di questa fuga (che però Bella confessa al padre il giorno stesso della sua partenza) è dovuta alla voglia di scoprire ciò che il mondo ha da offrire al di là dei muri entro cui è cresciuta e poi perché ha scoperto il sesso. Prima quello solitario, legato all’esplorazione di sé, e poi quello con gli altri, segnatamente con Duncan Wedderburn, un avvocato bellimbusto e donnaiolo. Ed ecco cosa è anche Poor Things, una petit mort per dirla alla francese. Ovvero una serie di momenti di piacere carnale da cui Bella prima si lascerà beatamente travolgere e poi, dopo una crociera fatta a forza per la gelosia e il desiderio di possesso assoluto dello stesso Duncan, nel quale scoprirà la letteratura e la filosofia, saprà sfruttare per sé. Nel casino parigino non solo conoscerà il comunismo e il pensiero sociale ma più in senso lato la forza di un corpo che è cosciente di se stesso. Ecco quello che è anche Poor Things, un pamphlet. La moda invece Bella non ha mai dovuto scoprirla a giudicare dai suoi, eccezionali, abiti.
Avvicinandosi al finale dell’opera di Lanthimos si comprende, sempre più, come in questo film allucinato e allucinante, in senso buono, dove i colori sono sempre saturi, falsi, anzi più veri del vero, la morale è una e una sola: il mondo è brutto e cattivo e tutti siamo condannati a morire; tuttavia non per questo dobbiamo rifiutarlo o costringere gli altri a farlo ma se siamo coscienti di cosa abbiamo davanti lo possiamo mordere con passione. Ecco, quindi, quello che anche è Poor Things, un bisturi che taglia una ferita, ma che lo fa con tutta la compassione di questo mondo. Perché anche di questo è fatto il mondo, ovvero di compassione.