Adesso che è finita, possiamo dirlo: The Leftovers è la serie più visionaria e sottovalutata degli ultimi dieci anni. Una serie capace di affrontare temi opprimenti e di porre domande esistenziali, mascherandosi da prodotto mystery. La sua conclusione ha lasciato i numerosi fan a bocca spalancata e a cuore aperto, come nel mezzo di un’operazione che ti può salvare la vita e te la può portare via. Di questo parla The Leftovers: di vita, morte, sparizione, aldilà, apocalisse, rinascita, amore e soprattutto, di fede.
Che pesantezza, vi sento dire dalle retrovie. Sì e no, comunque necessaria, visto l’argomento trattato.
Un giorno di ottobre, il 2% della popolazione mondiale sparisce nel nulla. Tutte le famiglie subiscono almeno una sparizione, e tentano di andare avanti, chiedendosi cosa sia successo. La fede diventa subito uno dei temi principali, perché la sparizione delle persone rimanda per forza di cose a a una figura divina. Chi rimane si sente benedetto o maledetto, ma ha bisogno di rifarsi a un’entità superiore. È la natura umana alla sua condizione di base: spaventata e incapace di comprendere l’universo in cui si trova.
Il personaggio principale è Kevin Garvey, interpretato da Justin Theroux. È un poliziotto, un uomo che lavora per riportare ordine e legalità in un mondo che è ormai del tutto sconvolto. Tra chi si dispera e chi aspetta una nuova sparizione come un momento di salvezza, emergono con forza i Guilty Remnants, sorta di setta che incarna il senso di colpa di quelli che sono rimasti, in cui spicca una santona carismatica e misteriosa, interpretata da Ann Dowd. Kevin rappresenta la razionalità, ma nel corso di The Leftovers si capisce quanto in fondo sia anche questo un concetto opinabile: il continuo confronto con gli altri personaggi, in particolare la sua donna Nora (Carrie Coon) e il fratello di lei, un reverendo in piena crisi (Christopher Ecclestone), finiranno per mandare in frantumi ogni sua certezza su questo mondo. E pure sull’aldilà. Questi sono i personaggi principali, quelli intorno ai quali si sviluppano le tre stagioni di The Leftovers, ma puntata dopo puntata si assiste alle vicende di figure in apparenza minori, che in realtà sono in grado di allargare lo spettro emozionale della serie, mostrando ogni possibile sfaccettatura della reazione dell’essere umano di fronte a un evento terrificante e inspiegabile.
Lindelof è lo sceneggiatore principale di Lost, quindi sapevamo già che le cose non sarebbero andate così lisce dall’inizio, e quando dopo la fine della seconda stagione, la HBO ha dichiarato che la terza sarebbe stata quella conclusiva dello show, in molti ci siamo metaforicamente guardati negli occhi aspettandoci, scusate il francesismo, il cazzatone.
Una serie così densa di significato intimo e insieme universale, sulla fede e sulla fine di tutto, sarebbe potuta concludersi in stile Lost, con un finale onirico, privo di spiegazione reale e arrivederci a tutti. Probabilmente Lindelof ha imparato dai molti fan inferociti per quel tipo episodio e stavolta ha voluto creare una vera e propria conclusione. Sì, amici del vorrei guardarlo però non so, stavolta vi trovate di fronte a una serie che ha un inizio e una fine, totalmente assurdi eppure verosimili, a patto che ci crediate.
La fine. Sconvolgente, straziante e insieme liberatoria, come solo il pensiero dell’Apocalisse può esserlo. O anche l’amore. I due interpreti principali sono veri e propri fuoriclasse e nell’ultimo episodio riescono a farti vedere tutto, pur non mostrando niente, con uno spessore e un’emotività rari, confermando Justin Theroux come uno dei più bravi (e belli) attori di oggi e lanciando nella stratosfera delle star Carrie Coon, portata alla notorietà proprio da questa serie tv e oggi protagonista anche di Fargo.
Pensavamo di guardare una serie tv sul destino del mondo e invece quel destino è fatto di tante storie personali, ognuna con il suo svolgimento e la sua conclusione intima. L’unica cosa da fare è aver fede, quella cieca che riserveremmo a un dio. Tramite la morte dell’idolo, possiamo davvero tornare a credere in noi stessi, come fossimo protagonisti e fedeli di una religione pagana che ha per chiesa la nostra persona in relazione all’altro, alla sua versione dei fatti, alla sua sincerità. Solo questo può salvarci dalla fine del mondo.