Christopher Nolan con Oppenheimer realizza il suo migliore film dal lato tecnico.
Tecnicamente parlando, Oppenheimer è il vertice di Christopher Nolan, un regista che tra alti e qualche basso ha finito per influenzare e marchiare a fuoco la cinematografia degli ultimi vent’anni. Ma partiamo con ordine. Oppenheimer non, affatto, un film semplice, però non è complesso “per essere complesso” come il precedente Tenet. Infatti è un film che, nonostante la durata di oltre tre ore, fila tutto sommato “liscio”, con uno svolgimento tutto sommato semplice per un regista come Nolan che, alle volte, ha voluto rendere complesso le proprie trame in modo artificioso. Questo è un bene soprattutto per un film che mette a dura prova lo spettatore: infatti vi sono dei momenti, momenti che complessivamente hanno una durata maggiore di un’ora, in cui lo spazio per la regia viene meno e si pone davanti a tutta una serie, molto fitta, di dialoghi, certe volte tecnico-scientifici e, più spesso, di natura giuridica. Infatti il film si svolge in due, principali, tempi, rappresentati dal fenomeno della fusione e fissione: c’è un tempo, proposta a colori, in cui si vede come il geniale fisico è arrivato alla costruzione della “bomba più potente di tutte” e poi vi è un “secondo tempo”, in bianco e nero, in cui si assiste al “processo” (anche se non è tecnicamente tale) che il Governo degli USA ha intentato “contro Opp”.
Sgomberato quindi il campo dal principale difetto di Tenet, possiamo dire che questo film tra i punti di, sicura, forza la prova attoriale di Cillian Murphy, che riesce a impersonare alla grande tutti i dubbi, le ansie, le paure e le contraddizioni del fisico Oppenheimer. Anche Matt Damon è bravissimo anche se a rubare, letteralmente, la scena sono Emily Blunt, che interpreta Katherine “Kitty” Oppenheimer e Robert Downey Jr, ovvero Lewis Strauss. Blunt e Downey Jr. sono stati eccezionali, grazie a tutta una serie di micro-espressioni, sguardi fulminanti e intonazioni della voce di alta scuola. Tra gli altri punti di assoluta eccellenza poi la fotografia affidata a Hoyte van Hoytema, in particolar modo per quanto concerne gli incredibili bianchi e neri (tanto da farmi desiderare che tutto il film venisse girato così) e Ludwig Göransson, il quale si è occupato della colonna sonora in modo egregio.
Parlando quindi più nello specifico del film vi sono almeno due scene che entrano di diritto non soltanto tra le migliori scene di Nolan ma tra le scene più importanti del cinema contemporaneo: ovvero quella, ormai iconica, dell’esplosione (ma non tanto, o meglio, non solo per la realizzazione in sé per sé della deflagrazione quanto per il “gioco” con il sonoro, incredibile, e l’assordante silenzio) e quella, finale, del dialogo con Einstein, che poi dà senso e sostanza all’intero film. Meno felice, a mio avviso, come ricordavo in precedenza, è la sceneggiatura, che in alcuni punti insiste un po’ troppo sul volere spiegare tutto a parole e nonostante i dialoghi davvero sublimi rende di sicuro non semplice per uno spettatore seguire tutti ed appassionarsi alle vicende. Quello che però rimane, al netto appunto di questi inciampi, è di avere davanti qualcosa di “grande”, qualcosa di importante per la cinematografia mondiale, qualcosa che per un cineasta o regista può rappresentare davvero la “summa tecnica” di una carriera.
Esplicito in conclusione ancora meglio il mio pensiero. Questo film rappresenta ciò che è stato Barry Lyndon nella carriera di Kubrick: forse non “il miglior” film del regista inglese ma, de facto, il migliore a livello tecnico, un’ossessione che è diventa realtà grazie alla forza della macchina cinematografica.