Quest’anno Dawson’s Creek, il teen drama per eccellenza dei tardi 90s, compie 20 anni ed è stato festeggiato con una reunion incredibile. Si presenta quindi l’occasione per fare l’ennesimo rewatch (o recuperone) di uno dei fenomeni dell’audiovisivo che più hanno segnato la giovane età di una specifica fetta di millennials, quelli indicativamente nati nella seconda metà degli anni ’80, che nel 1998 erano più o meno coetanei dei protagonisti della serie.
A tratti il tempo si rivela poco clemente nei confronti di Dawson’s Creek, verso cui conserviamo probabilmente una massiccia dose di amore nostalgico, che non manca però di trasformarsi in ilarità nel constatare quanto fossero assurdi gli adolescenti di Capeside. Nell’interezza delle sei stagioni della serie c’è stato forse un singolo personaggio che si è avvicinato alla realtà di una ragazza 15enne e guarda caso è colei che muore malissimo, viene pianta a malapena dalla madre e accantonata nel giro di un pomeriggio: Abby Morgan, la bad girl.
Passiamo sopra i dialoghi folli infarciti di paroloni e ghirigori filosofici, passiamo sopra ai tira e molla infiniti, alle relazioni impossibili. Passiamo sopra anche al fatto che dei ragazzini fossero interpretati da attori di almeno cinque o sei anni più vecchi, arrivando al primato assoluto di Meredith Monroe aka Andie McPhee che al tempo aveva 29 anni. Passiamo sopra a tutto, ma il trattamento riservato ad Abby è tra le poche cose che vale la pena legarsi al dito, per portare avanti una salda tradizione ventennale di rancore e sete di vendetta.
In Dawson’s Creek, Abby Morgan non era soltanto la bad girl, era la stronza definitiva. I suoi rapporti con il mondo erano essenzialmente guidati dalla sua innata crudeltà, dalla sua tendenza alla manipolazione e dal suo amore nei confronti di alcool e ragazzi. Non tutti, ovviamente. Solo quelli fighi, magari con i soldi e disposti a farle da zerbino senza fiatare. Nessuna amica è mai riuscita a starle accanto per più di due settimane, compresa Jen Lindley, l’altra cattiva ragazza del liceo di Capeside, che al contrario di Abby aveva sul serio intrapreso sul serio un percorso di autodistruzione e degrado. Abby amava infatti vantarsi di eccessi che non aveva vissuto, ma che aggiungevano colore al suo curriculum di donna navigata.
In realtà, Abby Morgan si prendeva una sbronza ogni tanto e flirtava a più non posso con tutti i fusti che incontrava nella desolata noia della provincia. Non era una stronza alla Mean Girls, poiché non aspirava a diventare popolare, anzi. La sua gioia nasceva dal sapersi temuta, odiata, reietta, tenuta alla larga. Non era neanche cattiva per via del suo passato. La sua era una delle famiglie più amate della città, nonché una delle più benestanti. Certo, i suoi erano separati e questo le creava dei complessi, ma siamo in tanti a essere sopravvissuti a dei genitori divorziati. Abby era semplicemente stronza per il piacere di essere stronza, senza attenuanti. Allora perché tutto questo polverone in difesa di un personaggio tanto detestabile?
Basta ripensare un attimo agli altri personaggi di Dawson’s Creek per rendersi conto di quanto fosse speciale la stronzissima Abby Morgan. Abbiamo Dawson Leery, il cervellotico futuro regista che deve riflettere due puntate ogni volta che vuole farsi un panino, poi c’è Peacy Witter che a caso riesce a portarsi a letto una professoressa, c’è l’incredibile Joey Potter con le sue disquisizioni sarcastiche sul senso dell’esistenza e c’è la precoce autolesionista Jen Lindley, che già a 13 anni inizia con sesso e alcool, si redime, diventa cattiva di nuovo e si redime altre dieci volte, finendo la propria parabola con una morte da martire e madre.
La complessità forzata di questi protagonisti ci porta a sospirare di sollievo ogni volta che torniamo con la mente all’immediatezza di Abby, alla sua rabbia totalmente ingiustificata, all’egoismo della sua adolescenza, alla cattiveria gratuita per distinguersi dalla massa, alla sua incoerenza, alla tristezza, alla solitudine, alla ricerca della propria identità. In definitiva, all’essenza stessa della giovinezza, che è orribile e piena di difetti, acerba e fatta di contraddizioni, di colpi di testa, di tentativi.
Abby Morgan era l’unica adolescente autentica della serie, l’unica che potevamo aver incontrato nella vita vera, l’unica che accorciava la distanza tra Capeside e casa nostra. La sua caratterizzazione così estrema fungeva da contrappeso per l’insito buon cuore di tutti gli altri. Dove esiste un paese o un liceo che non ha almeno una stronza totale? Abby è stata una pioniera del fastidio, un esempio perfetto di eroina insopportabile come si è visto poi in Girls o in Fleabag.
Capite quindi che delusione cocente è arrivata quando Abby è caracollata giù dal molo, quando l’abbiamo vista portata via in un sacco nero e quando abbiamo assistito al suo pietoso funerale dove tutti facevano spallucce, perché in realtà la morta non piaceva a nessuno. Che peccato, che spreco. Ci siamo giocati il miglior villain dello show giusto per innescare la sbroccata di Andie e la spirale masochista di Jen. Ma noi non dimentichiamo. Abby Morgan, la stronza colossale, vive perennemente nei nostri cuori.