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Noi siamo i mostri: la nuova, inquietante parabola di Jordan Peele

Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi, cantava Frankie Hi-NRG in un successo di qualche anno fa, e potrebbe essere la chiave di lettura del secondo horror di Jordan Peele, già Oscar alla sceneggiatura originale per Scappa – Get Out e presentatore della nuova stagione di Ai confini della realtà.

Se il primo film era una satira feroce sull’essere afroamericano negli USA, stavolta il “problema” non è l’etnia, ma l’essere umano con la sua duplice natura: a volte buono, a volte mostro. Film riuscito, inquietante oltre ogni dire e spaventoso, fa un largo uso di immagini terrorizzanti e il plot twist finale ribalta del tutto la percezione che ci eravamo dolorosamente fatti.

Nell’antefatto che precede la storia, un luna park, due genitori che litigano e la loro bambina che si allontana per raggiungere una casa degli specchi in cui sembra vedere un’altra se stessa. Anni dopo, la bambina è diventata donna (una fantastica Lupita Nyong’o) e con la famiglia composta da marito (Winston Duke), figlia grande (Shahadi Wright Joseph) e figli più piccolo (Evan Alex), torna nella casa d’infanzia in California per una gita al mare.

Oltre al trauma infantile della donna, la famiglia si troverà ben presto in pericolo: 4 persone entreranno nella casa e rapiranno i proprietari, che scopriranno la più agghiacciante delle paure:  i quattro rapitori sono loro stessi, o, almeno, una versione più malata e cattiva di loro stessi. I 4 dopplegänger sembra vogliano uccidere gli originali e quando questi ultimi riescono in qualche modo a scappare, troveranno una sgradita sorpresa. Di più non possiamo dire per non incorrere nello spoiler che rovinerebbe la visione del film.

Nel complesso, un gioiello visivo e una terrificante satira alla società, colpevole di dare sempre la colpa agli altri, che divide le persone in base al colore della pelle, all’etnia, alla preferenza sessuale, alla dicotomia buoni-cattivi, senza rendersi conto che gli altri non esistono e che noi saremo sempre gli altri di qualcuno. Non la più originale delle metafore, certo, ma l’esecuzione è da applausi.

Grazie a questo film, da vedere e rivedere per non perdere neanche le sfumature, Jordan Peele ha un posto assicurato nell’Olimpo dei registi horror contemporanei insieme a Mike Flanegan (Hill House), Andy Muschietti (IT), David Robert Mitchell (It Follows), Ari Aster (Hereditary), e (anche se non puramente horror), Yorgos Lanthimos (Il sacrificio del cervo sacro). L’horror non è mai stato così vivo e così socialmente importante, per sbatterci in faccia cosa siamo diventati.

 

Simone Stefanini

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