Gli anni Novanta, in fondo, erano un periodo abbastanza semplice. Arrivava giugno e assieme alla fine delle scuole, i pantaloncini corti che iniziavano a diventare una seconda pelle e i ghiaccioli che diventano una specie di metronomo che scandiva i pomeriggi, su Italia 1 veniva immancabilmente trasmessa Nadia – Il mistero della pietra azzurra o, per i puristi, Nadia dei mari delle meraviglie (che fa molto Hugo Pratt, riferimento in fondo non così lontano). L’anime, ispirato a un soggetto originale di Hayao Miyazaki, è ancora oggi, a trent’anni dalla sua prima apparizione in televisione, qualcosa di stupendo e magnifico, una serie di animazione ammantata di un’aurea quasi magica, vuoi per l’estetica adorabile dei personaggi, vuoi per quel misto di Jules Verne e racconto del capricorno che tanto ci piaceva e ci piace ancora oggi. Ma andiamo con ordine.
Quando abbiamo fatto riferimento a Jules Verne non è stato un riferimento fatto a caso. Già perché il soggetto originale di Miyazaki era ispirato ad almeno quattro opere proprio del grande narratore belga, ovvero Due anni di vacanze, Cinque settimane in pallone, L’isola misteriosa e, quasi naturalmente, Ventimila leghe sotto i mari. D’altro canto l’atmosfera da Belle Époque in salsa anime e da stempunk al sapore di cocco e mango c’è un po’ dappertutto. La serie, non a caso, si apre nel 1889, proprio l’anno della Grande Esposizione Internazionale di Parigi (quella durante la quale, per capirci, è stata presenta la Tour Eiffel che, di fatto, era l’ingresso dell’Expo).
Durante questa fiera facciamo la conoscenza dei due principali protagonista dell’anime, ovvero Nadia, un’acrobata adolescente che porta indosso una misteriosa pietra azzurra e Jean, un ragazzotto ingenuo e romantico, innamorato perso della tecnologia e geniale inventore. Insomma, solo dall’incipit della trama, se non proprio dal primo episodio tutti erano/eravamo d’accordo sul reputarlo una grande storia. Senza considerare poi, come avete avuto modo di vedere, il disegno e le animazioni che, guarda caso, sono opera dello studio Gainax. Già, esatto, proprio quello “dietro” a Neon Genesis Evangelion. Ora capite perché questo cartone è una specie di grande riassunto colorato dell’animazione giapponese anni Novanta? E, pure, della nostra infanzia/adolescenza?
Quindi abbiamo un grande soggetto, dei grandi disegni, delle grandi animazioni e un grande studio di produzione. Sono tutti ingredienti degni e che fanno sì che questo cartone sia così amato, eppure non spiegano ancora a sufficienza perché, a distanza di trent’anni, ancora adesso quando pensiamo all’estate pensiamo, in una certa qual misura, anche a Nadia e a Jean.
Il vero motivo è presto detto: Nadia – Il mistero della pietra azzurra profuma, letteralmente, di lidi tropicali, spiagge assolate e mari caldi del Sud. In fondo da una storia di viaggio, alla ricerca di un grande mistero per l’appunto, tutta ambientata per gli oceani, con una ragazza come Nadia in compagnia di Jean, Marie, il capitano Nemo e l’equipaggio del Nautilus, ci si poteva aspettare questa vibrazioni così tanto estive.
Un cartone che è una vera dichiarazione d’amore all’avventura, alle cose belle della vita e, perché no, a quel pizzico di ignoto che, anche nelle esistenze più monotone, fa capolino dietro l’angolo (ah, non vi abbiamo detto che, quasi in maniera scontata, si parla pure di Atlantide e civiltà perdute qui). Ecco allora perché, quando all’inizio vi abbiamo introdotto i temi principali di Nadia – Il Mistero della pietra azzurra abbiamo citato Hugo Pratt.
Perché se è vero come è vero che il “nostro” Hugo Pratt è stato, e continua a essere, Hayao Miyazaki allora, in senso lato, il “nostro” Corto Maltese è stata Nadia, senza dubbio. E in fondo, quell’azzurro di quel mare lì non l’abbiamo più visto da nessun’altra parte, proprio come i verdi infiniti e immortali dei film dello studio Studio Ghibli.