Non dico dieci anni, ma se solo due anni fa mi avessero detto che avrei cancellato ogni impegno per guardare Masterchef, mi sarei messo a ridere. La cucina? E chi se ne frega della cucina. Un piatto è interessante quando è sul tavolo, pronto per essere mangiato. Al limite quando è in corso di preparazione, ma solo se la cucina è fisica, reale e il risultato è destinato comunque a finire sullo stesso tavolo di cui sopra.
E invece è andata così e per la finale di Masterchef Italia 5 sarò attaccato a Sky Uno per scoprire chi la spunterà tra un macellaio con un accento veneto da record, una torinese tecnicissima piuttosto insopportabile (che finirà per vincere?) e una ragazza emiliana con la faccia dolce e il tortellino sempre pronto. Come è stato possibile? La prima risposta, quella istintiva, è un candidissimo scuotere la testa, un “non lo so” di dimensioni epiche. Quella ragionata, invece, è che non poteva essere altrimenti, perché quest’anno, più che nelle altre edizioni, la struttura di Masterchef è stata quella del thriller.
La prima novità è stata quella più grande: l’arrivo del quarto giudice, lo chef Antonino Cannavacciuolo. Corporatura, barba e modi sono quelli del villain, del cattivo, ma è apparso subito chiaro che il suo ruolo sarebbe stato differente: a forza di manate e incoraggiamenti, Cannavacciuolo nel corso della stagione ha riportato nel programma calore e vicinanza, elementi che si erano un po’ persi negli anni. Con Cracco e Barbieri sempre più star e Bastianich ormai uomo-Sky a tutto tondo, i tre giudici si sono sempre più allontanati dalla dimensione “normale” dei concorrenti: la figura di Cannavacciuolo ha fatto da ponte, permettendo così lo sviluppo di dinamiche particolarmente efficaci.
La possibilità di liberare Cracco, Barbieri e Bastianich e di issarli ancora di più al ruolo di semidei, ha aumentato la tensione dei rapporti concorrente-giudice, caratterizzati da non-detti, smorfie e sguardi. La presenza di una figura più amichevole tra i giudici ha permesso di creare un vero e proprio scontro tra i concorrenti: da una parte la sindacalista bresciana Lucia, dall’altra le giovani e rampanti ragazze che sono poi arrivate in finale. Lo scontro è stato ovviamente prolungato il più possibile, con ribaltamenti continui, in una logica per cui la cattiva designata (Lucia, appunto) finiva spesso per essere più simpatica al pubblico della coppia Erica e Alida.
In tutto questo si è inserita la sottotrama in cui una delle più brave (Rubina) è stata tormentata dalla puntata zero, massacrata a ogni occasione possibile e quindi fatta fuori molto prima di quanto meritasse. Una parabola da agnello sacrificale che non ha fatto altro che aumentare la tensione tra tutti i personaggi.
Dinamiche relazionali degne di un thriller da tutti contro tutti, con giudizio universale pronto a calare ogni 50 minuti e cliffhanger continui che nemmeno in una serie tv crime. L’unica differenza? Al termine della finale non avremo un colpevole, ma un vincitore. E mi raccomando: che nessuno si sogni di disturbare.
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