Alla fine della proiezione al Festival di Venezia, su “Madre!” di Darren Aronofsky sono piombati una marea di fischi e timidi applausi. Già per questo potremmo trovarci un attimo confusi, con la critica nazionale che si è poi divisa in due come un Mar Rosso di giudizi tra boiata pretenziosa e perla visionaria. All’uscita negli Stati Uniti il gioco si è fatto ancora più interessante, dato che la compagnia di exit poll cinematografici CinemaScore di Las Vegas ha collocato il film nella categoria F, fallimento totale, in base alle reazioni del pubblico.
Dopo aver visto “Madre!” è piuttosto semplice comprendere il perché di questa valutazione, proveniente da spettatori che probabilmente erano andati in sala per vedere un horror/thriller, privi di familiarità con la filmografia di Aronofsky. Ma i critici a Venezia, che film hanno visto?
Visivamente, “Madre!” è un film curato, intenso, claustrofobico, che sembra iniziare come un dramma di coppia ed esplode in un’orda. È un film circolare, un loop di senso che regala una potentissima allegoria religiosa, ma anche sociale e artistica. I due protagonisti non hanno nome, sono il Poeta creatore (Javier Bardem) e la Madre (Jennifer Lawrence), che vivono in una casa in via di ristrutturazione.
La prima metà del film è un lento accumulo di disagio e di presagi mortiferi, irritante nella sua lentezza e bruscamente rovesciato a metà strada, quando il ritmo si fa frenetico, violento, straziante. Arrivare a fine film è praticamente un atto di fede, perché quello che vediamo è estremo. É l’epilogo inevitabile di una creazione imperfetta, di un ego tronfio, della sopraffazione arrogante della vanità sull’amore, incarnato dalla stoica Madre, elemento da sempre edulcorato in qualsiasi testo sacro mai scritto. Senza alcuni fondamentali strumenti di decodifica, la visione di “Madre!” può risultare difficile. Non ci troviamo di fronte un thriller, ma la versione agnostica del Crepuscolo degli Dei. Non esattamente Scooby-Doo, in sintesi.
Difficile non vuol dire pretenzioso, sia chiaro. Chi sostiene il contrario ha probabilmente qualche complesso di inferiorità latente e poca propensione a imparare cose nuove, ma questa è un’altra storia. “Madre!” è un film splendido, con l’ennesima grande prova di versatilità per Jennifer Lawrence, che passa con disinvoltura dalle saghe blockbuster a produzioni autoriali e film di genere. La prova con Aronofsky ha confermato quanto Lawrence si presti bene al ruolo rivisitato della scream queen, come già avevamo intuito dal buon thriller “House at the End of the Street” del 2012.
Facendo un passo indietro nella filmografia di Darren Aronofsky, troviamo alcune delle chiavi per recepire “Madre!” con cognizione di causa. Molti degli elementi presenti nel film sono infatti costanti tematiche e stilistiche ben evidenti nel passato del regista, già dal suo esordio con “π – Il teorema del delirio” del 1996. Problematicità della mente geniale, disagio sociale, volontà di rivalsa, scontro con la religione, ma anche uso del montaggio e della regia non convenzionale, c’era già tutto.
Nel 2000 Aronofsky ci bastona con quel macigno di dolore che è “Requiem for a dream”, per poi rincorrere per sei anni la psichedelia di “The Fountain – L’albero della vita”. Nel 2008 arriva “The Wrestler”, che vede il ritorno in pista di Mickey Rourke e conferma l’abitudine di Aronofsky ad alternare nella propria produzione realismo razionale e surreale mistico, elementi che si fondono al meglio nell’acclamatissimo “Il cigno nero” del 2009. Il culmine dell’eterna fascinazione per la Bibbia si concretizza con “Noah”, ispirato all’omonimo personaggio della Genesi, che, nonostante le divergenze narrative, racconta in maniera piuttosto letterale le vicende dell’Antico Testamento. La versione concettuale e straniante di “Madre!” è la trasposizione biblica che amiamo certamente di più.