A Blumhouse piace molto giocare con i trailer, riempiendoli di informazioni al punto da accarezzare non troppo alla lontana lo spoiler. Non ha fatto eccezione il trailer di L‘uomo Invisibile, un tour di 2 minuti e mezzo nel titolo che possiamo già mettere in lista tra i migliori film dell’anno. La generosità di anticipazioni in questo caso ha un ruolo particolarmente potente, perché ci mette in condizione di sapere cose che la protagonista ancora non sa, fin dal primo istante. Il meccanismo non è di certo nuovo, ma se lo accostiamo a una storia di stalking e manipolazione così concentrata sulla percezione sensoriale l’effetto ansia è garantito.
L’uomo invisibile di Leigh Whannell fa parte del processo di restyling al quale Universal vuole sottoporre i suoi mostri classici, e per farlo si è affidata alle abili mani di Blumhouse, che sul rielaborare la tradizione ha fondato un impero. Nel reboot della storia, Cecilia è una donna che scappa da una relazione violenta, per poi ritrovarsi vedova e con la brutta sensazione che il marito abbia scoperto il modo per continuare a tormentarla senza che lei se ne accorga, quanto meno a prima vista. Con tutte le informazioni che già abbiamo immagazzinato dal trailer, al momento di iniziare il film sappiamo già della relazione abusiva, sappiamo che è Adrian, il marito, a tormentare la protagonista e sappiamo perfettamente che la situazione, per quanto bizzarra, è assolutamente reale. Molto più di quanto sappia Cecilia, che invece viene a fasi alterne psicanalizzata, guardata male o internata.
Basato sul romanzo di H. G. Wells, il nuovo L’uomo invisibile si allontana dall’approccio utilizzato dai predecessori togliendo innanzitutto al protagonista il ruolo da protagonista. L’uomo invisibile rimane centrale solo nel titolo, perché nel film in realtà lo vediamo proprio pochissimo, un po’ perché è invisibile, un po’ perché il suo più grande potere è quello di farci pensare che ci sia anche se non c’è. Un Satana al contrario. Poiché sappiamo fin dal principio dell’invisibilità di Adrian, ci troviamo subito in una situazione di paranoia perenne, e ci scopriamo a controllare ogni inquadratura alla ricerca di un indizio che confermi la presenza del villain: una nuvola di vapore, un’impronta, un oggetto che si muove. Una cosa snervante!
E proprio sull’esaurimento psicologico ed emotivo gioca quel maledetto invisibile di Adrian, che scomparendo è ancora in grado di comportarsi esattamente come prima. Isola Cecilia da tutti i suoi contatti sociali e familiari, ne controlla ogni movimento, la tortura psicologicamente fino a renderla pazza agli occhi di chiunque, senza dimenticare l’abuso fisico, che però nel film rimane elegantemente ai margini, evocato solo raramente dai ricordi di Cecilia. Sia chiaro, il L’uomo invisibile ci sono anche degli ottimi momenti action dove ci si mena alla grande, ma il tormento più insidioso e spaventoso è quello che Cecilia subisce nell’autostima e nella capacità di immaginare una vita di libertà, nella quale può smettere di guardarsi alle spalle o negli angoli bui.
Costruito su una suspense continua e su una splendida interpretazione di Elisabeth Moss, L’uomo invisibile convince come thriller teso e come metafora, che rielabora anche alcuni grandi cliché del genere dandogli nuova vita. Prendiamo il classico disinteresse o scetticismo che la protagonista incassa ogni volta che prova a raccontare la storia dell’invisibilità. Succede in ogni horror, che si tratti di fantasmi, assassini, viaggi nel tempo o zombie, nessuno ci crede e chiamano subito per il tso. Ma nel caso di Cecilia abbiamo un ulteriore strato simbolico. Da donna intrappolata in una relazione violenta ma apparentemente idilliaca (ed economicamente vantaggiosa), Cecilia è probabilmente abituata a non essere ascoltata e creduta anche parlando di abusi domestici. Quel “ascoltatemi!” che grida in continuazione è quindi ancor più straziante per a doppio taglio, l’eco di una battaglia per la sopravvivenza che è iniziata ben prima dell’invisibilità.