Ricordate quanto era bello il periodo in cui i genitori vi obbligavano ad andare in chiesa ed eravate pervasi di spirito divino perché il prete era Tyler Posey? No? Nemmeno io, purtroppo. Guardando Undone, la splendida serie animata di Amazon Prime Video, pare che le nuove diocesi peschino i preti direttamente dai sogni proibiti scatentati da troppi rewatch de La lettera scarlatta, ma Posey in rotoscope è solo l’ultimo di una lunga sfilza di prelati appetitosi. Cosa succede?
Nel 2016, escono The Young Pope con Sua Santità Jude Law nella sacra veste pontificia di Lenny Belardo (futuro Pio XIII) e Preacher, dove Dominic Cooper diventa il messia blasfemo Jesse Custer. Belardo e Custer sono entrambi protagonisti delle rispettive storie, sono bellissimi e hanno una quantità spaventosa di potere. Sono anche tenebrosi, maledetti, perché incarnano il classico superuomo che in realtà tutto il potere che ha mica lo voleva, quindi sono soli, a piangere sulle proprie infinite possibilità, schiacciati dal peso dell’aspettativa, dal fardello del destino e tutte le altre cose cattive che affliggono l’uomo bianco, etero, al vertice della catena di comando. Momento che asciugo le lacrime.
Giudicando fin qui, si direbbe che quella del prete figo è una variante leggermente spiritualizzata del tradizionale cliché dell’uomo inaccessibile, non emotivamente disponibile, “sposato con Dio” invece che “sposato con il lavoro”, come il più tipico dei detective da crime story. L’essere prete è una barriera come un’altra, un ostacolo per la vita sentimentale dell’eroe ma non una minaccia verso il suo ruolo di dominio.
Il trend diventa tale dopo il 2017, l’anno di #metoo, e decolla, guarda caso, in show ideati o co-ideati da donne. In tempi non sospetti, nel 2015, Crazy Ex-Girlfriend (sottovalutatissimo pozzo di saggezza di Rachel Bloom) ci regalava Padre Brah, giovane prete filippino che dispensa consigli ad amici e amici di amici, a metà tra il terapista, il confidente e il tipo che ti vende l’erba. Nel 2018 Derry Girls mette in campo Padre Peter, figura assai simile al già citato padre Miguel di Undone. Entrambi giovani, belli, personaggi assolutamente secondari e a ben vedere anche perfettamente inutili. Il loro compito sarebbe quello di riportare la fede nelle vita delle protagoniste con cui vengono in contatto, ma falliscono ogni volta, per mancanza di argomenti o convinzione.
Infine, c’è Fleabag con il capolavoro che è la sua seconda stagione. Andrew Scott è Il Prete, senza nome come il personaggio di Phoebe Waller-Bridge, creatrice della serie. Tra i due scatta un’alchimia istantanea e fortissima, un tira e molla di tentazione per entrambe le parti che riassume perfettamente l’essenza del prete figo come figura ricorrente: il lavoro di decostruzione fatto sull’archetipo del prelato non è più legato alla mascolinità inaccessibile ed è migrato verso la ridefinizione delle dinamiche di potere. Ciò che si va a rielaborare è il ruolo tradizionale del prete, colui che assolve, detta le regole per la salvezza dell’anima, funge quindi da compasso morale e simbolo di autorevolezza, oltretutto in un contesto apertamente misogino.
I preti che vediamo oggi in tv sono giovani e spesso inesperti, sono persi e confusi, privi delle certezze granitiche che dovrebbe avere una guida spirituale. Sono uomini che hanno perso la presa sul loro scettro del privilegio e ora si guardano intorno straniti perché tutt’a un tratto nessuno li tratta più con riverenza e ammirazione incondizionata. In più, questi preti sono insolitamente bellocci e finiscono quindi per essere feticizzati per il loro aspetto, messi lì come comparse superflue gradevoli alla vista e poco più, magari anche presi meno sul serio perché fisicamente attraenti. Suona alcun campanello?