Ogni volta che in Italia viene realizzato un film che non sia una commedia o un mafia movie dovremmo stappare una bottiglia di quelle buone. Peccato che non sempre i pochi esempi di cinema di genere sfornati in patria possono contare su una riuscita al 100%. C’è sempre qualcosa fuori posto, eccessivo o già visto, caratteristiche che si raccolgono in un tris di pecche in La ragazza nella nebbia, il primo film da regista di Donato Carrisi.
Il film è un adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Carrisi e racconta delle indagini sulla scomparsa di Anna Lou, tranquilla e riservata ragazza che vive nel paese alpino di Avechot. Per l’occasione arriva tra i monti l’ispettore Vogel, portandosi dietro il carrozzone mediatico che pensa di poter sfruttare per risolvere il caso. L’ambientazione isolata si presta perfettamente alla classica tirata morale sulla banalità del male, su quanto una piccola comunità non si aspetti di ospitare un criminale, sul sospetto, il dubbio e l’incredulità finale. Di certo “La ragazze nella nebbia” non è né il primo né l’ultimo film a battere questo chiodo, ma non ci sembra tutto un po’ familiare?
Nel 2007 uscì un film chiamato “La ragazza del lago“, opera prima di Andrea Molaioli e tratto dal romanzo “Lo sguardo di uno sconosciuto” della norvegese Karin Fossum. Al tempo si portò a casa ben 10 David di Donatello, quindi non è semplice capire in quale misura le somiglianze con “La ragazza nella nebbia” siano frutto di coincidenza, omaggio o volontà di ripetere il miracolo. La sensazione di dejà vu inizia a palesarsi con il titolo, ma fin qui non avremmo abbastanza materiale per aprire un’inchiesta. Il secondo campanello d’allarme lo suona Toni Servillo, che nel film di Carrisi interpreta l’ispettore Vogle, così come dieci anni fa intepretava il commissario Giovanni Sanzio, con meno smorfie, dizione meno impostata e medesimo umore saturnino.
Tutti vogliono Servillo, anche questa non è una novità, ma non è ancora tutto. Avechot è la quieta e solitaria cittadina delle Alpi che fa da sfondo a La ragazza nella nebbia. Paesaggi dolenti, maestosi e lividi, quasi come le sponde dei laghi di Fusine, nel Friuli-Venezia Giulia, che ospitano l’isolato centro abitato dove scompare la giovane vittima di “La ragazza del lago”, che per una strana congiunzione astrale si chiama Anna. Chiaramente sono molti i punti di distacco narrativo tra le due opere, ma il cuore della loro ricerca psico-sociologica risulta essere piuttosto simile. Ogni personaggio è pronto a scommettere che nella sua serena comunità non si nasconde alcun mostro, che il cattivo è arrivato sicuramente da fuori. Nessuno ammette a cuor leggero il proprio lato oscuro, mentre a pagare per l’ingenuità comune è sempre l’innocente ragazza dalle buone intenzioni, la vittima sacrificale.
In sostanza, La ragazza nella nebbia è un film guardabile con diversi punti deboli nello svolgimento narrativo quanto nella costruzione dei protagonisti, molti dei quali soffrono per una recitazione innaturale e parossistica. C’è del buono nella regia di Carrisi, nel coraggio costruttivo ispirato dal noir e dal poliziesco internazionale. Cade però sul più banale degli stereotipi, quello secondo il quale l’Italia si è impantanata nei soliti cliché cinematografici da decenni e tende sempre ad andare sul sicuro con cose già viste e digerite.