Fuori tempo massimo, ho deciso di lasciar perdere per una sera tutte le serie tv che sto seguendo per dedicarmi al relax, nella sua accezione per nerd di una certa età, e ho guardato Kong: Skull Island, il film di Jordan Vogt-Roberts che intende essere il secondo capitolo del reboot della saga dei bestioni iconici, iniziata con Godzilla nel 2014.
Le premesse per una serata pizza, birra e effetti speciali mirabolanti c’era tutta: il film mi è stato presentato come un Apocalypse Now! con King Kong, e suona come una proposta che non si può rifiutare, invece sono rimasto molto deluso. Quando guardo Sharknado 4 o Kung Fury, quelle sono trashate fatte con quattromila lire che ti aspetti siano boiate pazzesche e che speri non finiscano mai. Il film in questione invece ha un budget di 185milioni di dollari e la pretesa di essere un capitolo credibile della saga, per fare compagnia all’oscuro Godzilla, che si prendeva fin troppo sul serio.
Sinossi: alla fine della guerra del Vietnam, per alcuni soldati pareva brutto tornare a casa e quindi partono in missione per raggiungere l’Isola del Teschio. Prima superano la tempesta perfetta che in teoria avrebbe dovuto ucciderli istantaneamente, poi una volta arrivati a destinazione, sganciano un bel po’ di bombe a caso sull’isola, facendo incazzare King Kong, che è il CEO del luogo. Provano anche a farlo fuori coi fucilini, ma le pallottole gli fanno vento e allora Kong spacca tre quattro elicotteri. I superstiti si rendono conto che l’isola è strana, innanzitutto perché comunque le hanno appena prese da un gorilla alto come un palazzo, e poi perché ci sono altre bestie enormi, come ragni, piovre, mansueti bisonti e strisciateschi, che sono degli uccelli preistorici/rettili/robe brutte e cattive che senza Kong prolificherebbero e s’impadronirebbero dell’isola. I soldati trovano un superstite che è lì dalla seconda guerra mondiale e poi decidono di andare dove stanno le bestie feroci. Qualcuno muore, qualcuno si salva, mentre Kong e lo strisciateschi alpha fanno un incontro di wrestling in cui vince il giga gorilla. Titoli di coda e poi la presentazione del nuovo film con Godzilla, Rodan e Mothra, che sarà pronto nel 2019.
I personaggi umani del film non sono per niente sviluppati, non si sa niente delle relazioni tra di loro, né del motivo per cui alcuni sono lì a rompere le palle agli animali giganti. Ci sono attoroni come John Goodman che sembrano il fulcro di tutto e che poi durano come un gatto in tangenziale, mentre i due belli del film, Tom Hiddleston e Brie Larson sono espressivi come Raoul Bova e Michela Quattrociocche in Scusa ma ti chiamo amore, senza neanche far partire la storia d’amore. Sembra di assistere a una serie tv dall’episodio 4, non si capisce niente del perché e per come. Il superstite interpretato da John C. Reilly se la cava abbastanza bene, ma il suo lieto fine forzatissimo (lui che torna dalla moglie che non lo vede da anni e lei che lo riprende con sé senza troppe domande) ne vanifica l’efficacia.
Altra storia Samuel L. Jackson, perché da qualche anno, molti in realtà, lui interpreta sempre se stesso. Che sia un motherfucking Jedi, un motherfucking cowboy di Tarantino, un motherfucking soldato cattivo che spara a King Kong, ha sempre il suo motherfucking monologo, il suo motherfucking sguardo e la sua motherfucking strafottenza. Impossibile vedere il personaggio oltre l’attore.
Parliamo di Kong: dove ha imparato il wrestling? Si presume che all’Isola del Teschio negli anni ’70, la WWF (poi WWE) di personaggi come Hulk Hogan, André The Giant, Macho Man e Ultimate Warrior non sia poi così famosa, e allora perché lotta come se fosse dentro una telecronaca di Dan Peterson? Gomitate, voli d’angelo, suplex rovesciati, prese per far addormentare e così via. Le sue lotte con i bestioni cattivi sono ok, lì una birretta supplementare ci sta, ma è chiaro che se tutti gli strisciateschi lo attaccassero contemporaneamente, gli farebbero fare una finaccia, invece non lo fanno mai e lui rimane il King. Esattamente come negli incontri di wrestiling anni ’80 su Italia Uno, in cui vinceva il famoso contro l’avversario 7 volte più grande di lui, pagato per perdere.
Nel film trova spazio un momento esilarante, uno dei Darwin Award più netti e stupidi: Shea Whigham, che interpreta il Capitano Cole, quando i soldati stanno per fuggire dall’isola, decide di sacrificarsi e farsi mangiare dallo strisciateschi, convinto di poter esplodere un paio di bombe a mano nella testa dell’immonda bestia e ucciderla, diventando così un eroe caduto. L’orrido essere però non è stato partorito da una madre imbecille e allora gli da una codata che lo fa spatasciare su una roccia, con tanto di esplosione delle bombe a mano. Addio Capitano, bella mossa, grazie di tutto.
Il sudore? Assente. Parliamoci chiaro, è pur vero che sono in sovrappeso, ma se mi mandate su un’isola tropicale con uno zaino, armi e munizioni, con un gorilla di 30 metri che m’insegue, dopo 15 minuti sono un bagno di sudore, mi fermo per il Polase ed entro in zona infarto. Loro niente, salgono montagne alte come l’Abetone a piedi, attraversano selve oscure e mai che sudino da fare schifo. Brie Larson e Tom Hiddleston poi sembrano a fare una gita fuori porta. Lei addirittura non ha neanche i capelli sporchi, neanche dopo che Kong le ha sfiatato con le sue narici alte come una casa a due piani, una pioggia di slime mucoso in faccia.
Ho una teoria tutta mia sul finale, che vado ad enunciare: quando arrivano soccorsi via elicottero, alla fine del film, Kong li vede ed è lampante che si ricordi delle bombe sganciate proprio dagli elicotteri nei giorni precedenti, quindi s’incazza e fa una strage di soldati e civili. Quello che succede dopo i titoli di coda è un momento onirico, il sogno di John C. Reilly. Secondo la mia teoria, alla fine muoiono tutti gli umani e questo è ciò che si merita chi va a sganciare le bombe in un posto che non è casa sua. Ma questa, amici cari, è un’altra storia.