TV e Cinema
di Mattia Nesto 7 Ottobre 2019

Joker: Anarchy in the U.S.A.

Folle, nichilista, spietato, terribile: la danza macabra di Joaquin Phoenix non la dimenticheremo mai

Stretta di camera sulla mano, quasi un ramo di un albero, di un bizzarro personaggio vestito di arancione, giallo e verde su di una scalinata. Lui è Arthur Fleck ma tutti, ben presto, lo conosceranno come Joker. Persona e personaggio, in un quartiere malandato di Gotham City, Arthur e Joker, si incontrano e si uniscono nella danza di morte che Joaquin Phoenix, il protagonista indiscusso del, giustappunto, Joker di Todd Philips incarna in modo indimenticabile.

Ecco la danza o per meglio dire l’interpretazione attoriale di un personaggio, come veicolo di trasformazione e oblio dei propri problemi/afflizioni personali e sociali, è il cuore di Joker oltre alla ben note violenza cieca di cui si è parlato tanto, forse troppo, sui giornali e sui media di tutto il mondo. Perché la parabola di Arthur Fleck, un artista da strapazzo dotato di poco talento ma di fervida (e malata) immaginazione, cresciuto con il sogno di fare stand-up comedy e di avere uno show tutto suo sulla rete nazionale, che pian piano sprofonda sempre più nel baratro di autocommiserazione e follia dovuta ad una società altrettanto corrotta e marcia che sta tutt’intorno, è certamente una parabola sociale e, in una certa misura, una feroce critica all’”american way of life” ma non solo.

Todd Phillips e Scott Silver scrivono infatti una sceneggiatura in cui così come i richiami al mondo del fumetto sono  sullo sfondo (non assenti, intesi, ma in secondo piano) così è anche il contesto sociale. Al centro di tutto c’è un uomo, Arthur che fondamentalmente non è altro che una persona normale, come tutti, come noi, dotata forse anche di un qualche talento, ma con aspirazioni troppo grandi per quello che può ottenere. Tuttavia egli non può dirsi totalmente una persona “normale” in quanto è afflitto da turbe psichiche che lo portano in profondissimi stati di depressione nera: tanto è vero che quando, a volte, scoppia in apparenti crasse risate, in realtà dentro è colto da una disperazione cieca e senza luce. E proprio nelle dicotomie, luce-ombra, sanità-follia, ordine-caos, ricchezza-povertà “gioca” il film: nel suo misero appartamento Arthur, assieme all’anziana madre malata (probabilmente con più di un problema psichico) passa in solitudine le proprie giornate, con l’unico appuntamento fisso rappresentato dallo show della sera nel quale il grande conduttore comico Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro, ospita tutto il gotha degli attori hollywoodiani.

Ma in fondo Arthur, di per sé, non è un uomo cattivo, ma è la società a renderlo tale: questo è il sottotesto, più delicato e “pericoloso” di Joker, e che ha fatto storcere il naso a più di un critico. Tuttavia scagliarsi contro questa semplificazione delle ragioni per cui un innocuo clown da strapazzo diventa il re-demone del caos nichilista di Gotham (perché questo è Joker, non un semplice villain ma la personificazione del caos primigenio e distruttore), è errato: infatti il film di Todd Phillips vuole raccontare, nel classico moto di “catarsi/purificazione” che l’arte detiene da millenni, l’anarchia nichilista e assoluta negli Stati Uniti e quale personaggio migliore se non quello di Joker.Ma è pur sempre un racconto “ad arte” ed è per questo motivo che la definitiva trasformazione di Arhur in Joker non è dovuta a qualche intruglio tossico o trauma infantile (Arthur ne ha passate talmente tante, da giovane come da meno giovane, che ormai neppure più se le ricorda tutte le volte in cui è stato umiliato di fronte a tutti) ma attraverso, giustappunto, l’arte e in particolare misura la danza. E così, in un crescendo che richiama le grandi tragedie classiche, una su tutte le Baccanti di Euripide, la danza si trasforma in follia, l’arte apollinea diventa furia di morte dionisiaca.

Osservando i gesti aerei e sinuosi di Phoenix, che ancora una volta offre una prestazione sontuosa di cosa voglia dire fare l’attore oggi (ovvero non soltanto “saper recitare con la voce” ma anche e soprattutto con il corpo) fanno da perfetto contraltare al video, molto bello, di una canzone, anch’essa molto bella, di qualche anno fa. Così come la scalinata di Gotham è il “negativo” della scalinata di Rocky (Rocky Balboa raggiunge la sommità della scalinata del Philadelphia Museum of Art e diventa un campione riscattandosi proprio come Bruce Wayn ne Il ritorno del cavaliere oscuro supera la prova della prigione del pozzo  Arthur raggiunge l’ultimo gradino della scalinata di Gotham e diventa Joker, perdendosi definitivamente), così la danza di Joker è il “b-side” di “Epilepsy Is Dancing” degli Antony and the Johnsons.

Nel videoclip la danza, non priva di spunti di morte e di sangue, diventa un inno alla “bellezza che salverà il mondo” mentre in Joker, Phoenix danza a braccetto con il caos, diventandone il suo figlio prediletto e portando il fuoco e la distruzione su Gotham. Joker non è solo un film sul Male ma è il film dell’Arte che diviene Male. Ecco perché la propria forza di catarsi, di liberazione e purificazione dagli istinti negativi, è così forte. Altro che “istigazione alla violenza”, guardare Joker ci rende persone migliori. O senza dubbio ci rende più capaci a danzare con il Male che è intorno a noi senza troppe conseguenze, visto che, come dice Frank Sinatra in una canzone spesso citata nel film, anche questo è “That’s Life” no?

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