Pensavamo che ci saremmo trovati di fronte alla gara del “Sono più figo io” e invece la tavola rotonda organizzata da Hollywood Reporter e moderata dall’executive editor Stephen Galloway, con sei grandi registi del calibro di Quentin Tarantino (The Hateful Eight), Danny Boyle (Steve Jobs), Alejandro González Iñárritu (The Revenant), David O. Russell (Joy), Ridley Scott (The Martian) e Tom Hooper (The Danish Girl) si è rivelata un bellissimo esperimento di scambio di visioni ed esperienze.
L’incontro è durato un’ora e fidatevi che è impossibile guardarlo con superficialità, perché gli aneddoti raccontati rivelano personalità e informazioni inedite dei registi e dei loro film. Guardando il video abbiamo capito che non c’è una regola universale che definisce un regista un grande regista, ognuno di loro, ad esempio, lo è per un motivo differente.
Poi ci siamo divertiti a definirli a seconda delle risposte e degli atteggiamenti che hanno avuto durante la roundtable e abbiamo così capito che Ridley Scott è un cinico e pragmatico burlone, Iñárritu è il più passionale e sensibile di tutti, Russell è l’intellettuale so-tutto-io che però rivela un lato simpatico, Danny Boyle è l’ottimista, Hooper il tristone e Tarantino è un genio e basta. Perché ha funzionato?
Perché c’è stato un reale confronto tra loro e il rivelarsi metodi, paure, rimpianti e verità li ha resi umani prima che professionisti. Ma cosa si sono detti davvero? Di tutto.
Cinema vs TV – Il primo tema affrontato è stato quello sulla fruizione del cinema oggi e sul ruolo che ha la TV in risposta alla domanda di Galloway sulla più grande sfida che deve affrontare un regista che fa cinema. Tarantino sostiene che la più grande sfida sia quella di riuscire a convincere le persone a vedere i film al cinema. Oggi si aspetta di vederli in TV e goderne privatamente, anche 6 o 7 mesi dopo.
Trova l’appoggio di Iñárritu che appunto pensa che il pubblico debba davvero avere un motivo forte per andare al cinema. Per Ridley è solo un problema di offerta: c’è troppa roba e soprattutto troppi registi sul campo. Per Boyle e Hooper è una questione di obiettivi: raggiungere il maggior numero di spettatori (cita il fallimento iniziale di Steve Jobs rispetto alle altissime aspettative, il film ha aperto a LA e NYC con “solo” 7,1 million) mentre per Hooper l’unico obiettivo è quello di riuscire a fare tutto quello che ci si era prefissati di fare.
La miglior scena della storia del cinema – Qui non nascondiamo che un paio di risposte le abbiamo dovute verificare. È questa la domanda alla quale rispondono: “Se dovesse scoppiare domani la bomba atomica e aveste la possibilità di mettere in una capsula del tempo la scena che più vi ha segnato della storia del cinema, quale scegliereste?” Risposte secche e decise da parte di Scott che sceglie Muriel’s Wedding (P.J. Hogan 1994), Tarantino cita il final climax di Jackie Chan in Police Story 3: Supercop, Boyle Nick Park con il corto The Wrong Trousers, Russell Lean Hobson’s Choice (1955) e poi si perde citando Salinger e il suo Holden Caulfield in un discorso, sensato, su come sottovalutare una persona sia di grande aiuto per la persona colpita.
E infine Iñárritu incanta con un discorso profondissimo sui momenti che più ricorda di un film, che di solito sono quelli che ancora oggi non riesce a capire che cosa volessero comunicargli. Come gli è successo con Stalker di Tarkovsky: “E ogni volta mi chiedo: come ha fatto quella ripresa? Cosa avrà voluto dire, perché il ragazzo è messo così e cosa significa quel suono. Tutto quel mistero è una rivelazione e un’esperienza umana che vivo e che mi connette con qualcosa a cui non stavo pensando. È un’ intuizione”. Per Hooper invece è una scena di Lawrence d’Arabia che ha impressa nella mente sin da quando era un bambino.
Clint Eastwood, i cavalli e il “ritmo interore” di Leo di Caprio – Da qui si innesca un concatenarsi di esperienze e racconti epici di ognuno di loro. I momenti più esaltanti sono tre. Il primo riguarda Iñárritu che racconta di quando Clint Eastwood gli ha detto detto “sorry for you guy” parlando di come avrebbe dovuto riprendere dei cavalli: “Non lo sapevo. Non avevo mai ripreso un cavallo in vita mia. Avevo gli incubi: dove metto la videocamera?”.
Continua poi raccontando delle sfide che hanno dovuto affrontare per girare The Revenant: “Dirigere in montagna e con quelle condizioni è complicato. Quando ci aspettavamo una cosa succedeva l’esatto opposto. Quando abbiamo stabilito le regole e il linguaggio non potevamo più tornare indietro. Se stai scalando una montagna e sei nel mezzo della parete non hai scelta: o sali o muori. Non potevamo usare nessun sfondo blu, perché sarebbe collassato tutto il film”. A Leo di Caprio invece per il ruolo ha chiesto la fragilità di Arnie in Buon Compleanno Mr Grape. Far vedere tutto il dolore della perdita, la sofferenza. “Lui è un film maker non è solo un attore. Capisce tutto. E la cosa pazzesca è che ha pochissime battute in questo film. E ha dovuto comunicare tutti i sentimenti – paura, dolore, freddo, tristezza – con il linguaggio del corpo e gli occhi. Puoi chiedere qualsiasi cosa a un attore. Stopparti e rifarlo cento volte, ma c’è un ritmo interiore che o esce o non c’è. Ecco Leo ha quel ritmo interiore”.
Le scene finali di Blade Runner sono di Stanley Kubrick – Si avete letto bene. Ridley Scott ha chiesto a Stanley Kubrick delle scene per il finale di Blade Runner. Questo è il secondo momento super. Quando Scott finì Blade Runner fu un totale disastro – dice – e siccome i suoi investitori gli dissero che non poteva fare un film noir ma doveva sperimentare un finale che desse sollievo, lui, non sapendo cosa fare chiese a Kubrick delle sue immagini di Shining. Ecco, facciamo fatica a unire nella stessa frase “sollievo e Shining” ma se lo dice Scott…
Tarantino scriverà libri – “Voglio stopparmi ad un certo punto e sto lavorando verso quella direzione”. Eccoci al terzo momento epico. Cosa farà? Scriverà libri, testi teatrali. La prima cosa che però vuole fare è l’adattamento teatrale di The Hateful Eight (il suo prossimo film in uscita il 4 Febbraio) perché gli piace l’idea di dare una chance ad altri attori di interpretare i suoi personaggi e vedere cosa succede.
I consigli migliori e i rimpianti – Nel rush finale dell’incontro i sei registi parlano degli attori. Il primo è Hooper che racconta di quando Hellen Mirren si “oppose” al suo pensiero di come girare una scena e da lì lui capì che un grande attore ha la messa in scena in testa esattamente come il regista: “Da quel momento ho capito che non avrei mai imposto nulla”. Boyle racconta dell’esperienza intensa con Fassbender in Steve Jobs, di quanto abbiano provato e della volontà di Fassbender di registrare ogni singola prova. Tarantino invece parla di Harvey Kietel protagonista del suo primo film e di come gli abbia insegnato a non anticipare nulla all’attore prima della lettura della sceneggiatura, perché solo in quel modo si avrà la spontaneità della sua reazione.
Ridley non prova. Non ha mai provato. Fa storyboard di tutto e arriva sul set che sa già cosa fare. I suoi attori prima si straniscono, ma poi funzionano. Per quanto riguarda i rimpianti e sensi di colpa, Scott ovviamente non ne ha, Iñárritu vorrebbe essere più cattivo e meno emotivo, Russell essere arrivato al dunque con alcuni attori – emotivamente parlando in una scena – più velocemente. Tarantino invece si sente in colpa quando gli capita di “stancarsi” del lavoro. Soprattutto quando è su set lunghi.
Tranquilli, lo dice così: “A volte mi stanco e mi dispiaccio per me stesso perché mi dico “povero Quentin stai vivendo il tuo sogno eppure sei stanco di stare sul set…piangiamo tutti per Quentin forza…”. Non vi riveliamo quale scena di un loro film ricordano con più impatto, perché alcune non le abbiamo viste e su altre non siamo d’accordo, quindi preferiamo far decidere voi quale scegliere.