Tornato a scrivere e dirigere un film, Hayao Miyazaki con Il ragazzo e l’airone ci regala un capolavoro.
Per parlare con buona coscienza de Il ragazzo e l’airone, nuovo film di Hayao Miyazaki a dieci anni di distanza da Si alza il vento, occorre citare La Divina Commedia di Dante Alighieri, più nello specifico un passaggio piuttosto famoso: “Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e ‘l primo amore”. Questa citazione non solo è contenuta, in parte, nello stesso film, ma è utile, anzi utilissima per capire il valore di un’opera come questa che in due ore riesce, attraverso una vera e propria “foresta di simboli e segni” a regalare allo spettatore un’esperienza unica nel suo genere, con momenti che mi hanno ricordato molto da vicino Il settimo sigillo, non solo per la riflessione in merito alla morte e al senso della vita.
Il film, distribuito in Italia da Lucky Red, presenta al tempo stesso uno stile riconducibile in maniera piuttosto fedele allo Studio Ghibli, quindi con quell’alternanza di blu e verde che abbiamo imparato ad amare e portare nel cuore nel corso degli anni ma anche delle molteplici declinazioni che lo fanno, in un certo qual modo, “evolvere”. Per comprendere ciò serve osservare con cura la scena iniziale, ovvero quella del “grande incendio”. Qui, il nostro protagonista Mahito si trova coinvolto in un colossale incendio, le cui fiamme inghiottiscono l’ospedale dove è ricoverata la madre. Questo fatto non solo è il fatto scatenante l’intera vicenda filmica (oltre ad essere un riferimento diretto alla biografia dello stesso autore) ma è anche un tripudio in termini di animazione, con momenti che ricordano da vicino, guarda caso La storia della Principessa Splendente, dell’amico, “nemico” e sodale Isao Takahata, alla sua ultima regia. Propri il discorso legata alla “legacy” all’eredità che lo stesso Miyazaki ha voluto infondere in questo suo film, credo sia il discorso più interessante e più profondo.
Questo film, infatti, e qui mi collega al riferimento dantesco di cui sopra, è davvero un’opera complessa, che non può essere, diciamo così, percepita e fruita con la leggerezza, per quanto splendida, di un Totoro o di Kiki, giusto per citarne due tra i più amati. Questo è un film maturo, quasi “vecchio” o “vegliardo”, in cui si riflette sullo scorrere del tempo, sulle scelte fatte o non fatte e, soprattutto, sul combinato disposto del ragionamento sul senso della vita e sul valore dato alle relazioni, agli affetti e ai propri amici. Non è un caso, in tal senso, che una delle frasi più iconiche di questo film sia proprio “Sayonara, tomodachi”, arrivederci amico. Il regista premio Oscar per La città incantata ne Il ragazzo e l’airone consegna la sua eredità non in mano a x, y e z ma a qualcuna o qualcuno che, certamente, nel mondo già c’è. E come ha giustamente sottolineato 151Eg, nel suo splendido video che ho inserito poco sopra e che vi invito a guardare, questo “mistero” su a chi sia da consegnare il “passaggio del testimone” può essere svelato, diciamo così, osservando gli studi coinvolti nel corso degli anni di sviluppo di questo film.
Si tratta del meglio del meglio degli studi di animazione giapponese, questo per dire che Hayao Miyazak, in un certo qual modo, rifiutando la sua naturale propensione per la misantropia e solitudine, abbraccia chi fa bene quanto lui il suo mestiere, dicendo che non è finita, dicendo che si può andare ancora avanti, dicendo che “il proprio mondo si può ancora, anzi si deve, costruire”. Il ragazzo e l’airone è un capolavoro, potente, complicato e profondo. Se andate al cinema, vi fate un favore. Ciao, tomodachi.