Ad un certo punto, illuminate da una mattina color dell’oro, le quattro sorelle March decidono di ammettere nel loro esclusivo club di sole ragazze anche il loro vicino e amico Theodore “Laurie” Laurence. Questo è forse uno dei momenti più belli di un film che di momenti ne ha a bizzeffe: stiamo parlando, come avrete capito, di Piccole Donne di Greta Gerwig, già regista dell’apprezzatissimo Ladybird (nonché moglie di quel Noah Baumbach che ha recentemente firmato il toccante Storia di un Matrimonio, di cui vi abbiamo parlato qui). Tuttavia perché questa versione di Piccole Donne è tanto bello, considerando il fatto che il best-seller di Alcott è stato ripreso innumerevoli volte al cinema, anche con versioni veramente ben fatte, come l’omonimo film del 1994 con sue Maestà Winona Ryder e Susan Sarandon? Perché Gerwing riesce a presentare con rigore e fedeltà al testo la vicenda romanzata ma al tempo stesso abbatte la quarta parete e ci presenta Jo March, interpretata da una magnifica Saoirse Ronan (già, torna, ancora una volta Ladybird) in qualità di alter ego della stessa Louisa May Alcott, con un abile gioco tra scrittrice, opera letteraria e vita vissuta.
Va anche detto che Gerwing non sbaglia un colpo neppure dal punto di vista del cast. Infatti le sorelle March sono interpretate da Emma Watson nei panni di Margaret “Meg” March, la bravissima Florence Pugh fa Amy March mentre Eliza Scanlen interpreta Elizabeth “Beth” March. Se le quattro protagoniste sono tutte azzeccate altrettanto lo sono i personaggi per così dire comprimari: e non stiamo parlando soltanto della, come al solito, straordinaria Laura Dern alias Marmee, la mamma delle sorelle March ma anche di Timothée Chalamet ovvero Theodore “Laurie” Laurence, Meryl Streep che fa una zia March praticamente perfetta, senza poi dimenticare James Norton ovvero John Brooke e Louis Garrel aka Friedrich Bhaer. Come vedete sul cast nulla da dire ma è nel modo in cui è presentata la vicenda che si conferma tutta la bontà del film
Rinunciando ad un tipo di narrazione lineare, attraverso un particolare filtro dato alla pellicola, si passa, senza soluzione di continuità tra passato e presente in Piccole Donne. Il passato è avvolto dalla già citata luce dorata, una patina calda che Gerwing utilizza come simbolo della bellezza e dolcezza dell’infanzia mentre il presente, nel quale Jo March tenta di sfondare nel mondo della narrativa presentando racconti su racconti ai principali giornali di New York, è caratterizzato da colori più freddi, proprio a simboleggiare le mille insidie dell’età adulta.
Questa trovata, di per sé semplice e immediatamente comprensibile per tutti, è un tocco di grande classe che permette al film di affiancare la storia del romanzo ma anche di discostarsene un poco. Ma non finisce qui. Le prove delle attrici e degli attori sono incredibili. Da Emma Watson che incarna il prototipo della ragazza che vuole sposarsi non perché costretta ma per una sua decisione, a Timothée Chalamet che pare essere nato per indossare abiti da dandy e fare la parte del ragazzo romantico e decadente fino ad una Laura Dern che incarna, letteralmente, il prototipo della madre su cui, complice la cronica assenza del padre impegnato al fronte, viene affidato l’intero peso di una famiglia numerosa.
Non c’è spazio per la retorica o per le scene troppo zuccherose ma la carica emotiva di questo film è fortissima. Non è un film dichiaratamente femminista o, per meglio dire, che vuole strizzare l’occhio alla cosiddetta moda hollywoodiana del Women’s empowerment: qui infatti si rifugge da ogni possibile trovata commerciale per abbracciare situazioni umane e reazioni umane. Anche se ad un certo punto Jo fa un discorso che potrebbe rappresentare bene una sorta di manifesto progressista sul pensiero femminista odierno. Tanto per dire la qualità, estrema, che anche i dialoghi rivestono in questo film.
I personaggi non sono incredibili, non sono super-eroi o figure stilizzate, ma semplici persone, con i loro difetti, il loro cuore che singhiozza e dubbi e ansie che li attanagliano. Esattamente come, prima di tutte, le sorelle March di Alcott. Ed è per questo motivo che, ancora oggi, leggiamo le loro vicende senza perdere un briciolo dell’emozione iniziale: perché quelle storie, quelle storie piene di errori e di persone che sbagliano, parlano anche di noi.
Un film consigliatissimo, per tutti, per chi ha letto i romanzi e per chi non ne mai preso in mano uno per sbaglio. E se vi viene da piangere non preoccupatevi: non siete le sole o i soli.
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