Il live action di One Piece non aggiunge nulla e non toglie alcunché al manga di Eichiro Oda: e questa è la notizia peggiore di tutte.
Se c’è una cosa che il live action di One Piece non avrebbe dovuto fare è non aggiungere e togliere nulla all’opera originale di Eichiro Oda. Già perché, al netto dell’ovvia e scontata mega-operazione targata Netflix, partendo dal presupposto che nessuno sentiva veramente il bisogno di una trasposizione con attrici e attori in carne e ossa dei personaggi di One Piece, la serie è veramente inutile nel vero senso della parola. Non c’è una vera e propria reinterpretazioni delle atmosfere e dello spirito del manga e quando lo si fa, come ad esempio nella scena in cui Luffy saluta Koby, viene completamente travisato il messaggio. Se infatti nel manga questo è un momento solenne e commovente, nella serie il tutto viene derubricato come un semplice saluto, un banale arrivederci che non aggiunge nulla. Già proprio come questa serie.
A livello tecnico, come forse ormai è noto, le produzioni proprietarie di Netflix, da molto tempo a questa parte, non brillano certo per sfarzo di mezzi: e infatti anche questa presenta costumi al di sotto degli standard di fiera di Cosplay con un livello di artificialità di alcuni prompt (come ad esempio la mazza di Armida) che raggiungono davvero dei “punti di non ritorno”. La fotografia poi, caratterizzata com’è da uno strano filtro giallognolo per alcune scene e da un’oscurità di fondo per altre (volta a nascondere/celare la povertà degli ambienti) è modesta a dir poco, se non proprio insufficiente in altri momenti. Sicuramente insufficienti, poi, sono i combattimenti, con coreografie scarne e non degne di nota e, soprattutto per quanto concerne gli attacchi di Luffy, una lentezza e staticità triste e perniciosa.
Il cast, per quanto appassionato del manga e animato dalle migliori intenzioni, non mi ha mai scaldato il cuore: ancora una volta è Luffy, in teoria il punto di forza, a rappresentare l’anello debole (per quanto non è che gli altri siano così “forti”, vero Usopp?). Senza considerare poi, com’è ovvio che sia, che il rush per adattare i primi 95 capitoli del manga originale, ha prodotto una compressione degli eventi che non ha reso il live action di chissà quale profondità: vero che a livello di dati di visione su Netflix la trasposizione è stata un successo ma, dal punto di vista artistico, ancora una volta, mi duole ripetermi ma quest’adattamento ha prodotto un risultato più inutile che brutto. Ed è un peccato perché, se almeno, fosse stata “ingenuamente trash” almeno avremmo avuto un motivo per rivederla nei prossimi anni: e invece no, neppure questo. Sono certo che finito l’entusiasmo iniziale, di questi giorni, se tra qualche mese ripenseremo a questo live action saremo molto più freddi. Io per portarmi in avanti sono rimasti già ampiamente agghiacciato (la scena di “Gold Roger” con, in tempo zero, tutti i pirati del mondo che si lanciano alla volta del tesoro è triste, oltre che ridicola).