Montagne russe in puro stile PSI dei bei tempi. Ecco, con questa formula si potrebbe bene definire Hammamet, il film di Gianni Amelio e dedicato agli ultimi anni di vita del primo Presidente del Consiglio socialista della storia d’Italia. Pierfrancesco Favino ha avuto il non facile compito di impersonare Craxi, uno dei politici che, nel bene come bel male, più di tutti ha finito per condizionare i destini del nostro Paese. Ebbene come forse avrete potuto leggere da tutte le parti, Favino è stato semplicemente mostruoso. Bisogna partire da qui, da questa eccezionale prova attoriale, per parlare di un film, non semplice, come questo.
Favino è stato bravo non soltanto per merito di un trucco di altissimo livello ma perché, in special modo nell’intonazione della voce e nel modo di osservare gli interlocutori, la capacità mimetica e di osmosi assoluta tra interprete e personaggio operata dall’attore romano è stata incredibile. Non soltanto si aveva la sensazione di avere sullo schermo Bettino Craxi ma ne si sentiva, letteralmente, il peso e la consistenza del suo corpo. Una prova d’attore quindi anche fisica nonostante un film che, ancora più del recente Il Traditore, aveva in maniera del tutto evidentemente un’anima teatrale bene in vista. E qui iniziamo ad andare su e giù per la già citata montagna russa socialista.
Già perché la storia è semplice e gli elementi vengono tutti, o quasi, presentati nei primi cinque minuti di film: abbiamo un uomo una volta molto potente ora molto malato e indebolito e dai vizi e dagli errori politici che scappa/si rifugia in un Paese molto povero, la Tunisia, che gli ricorda un po’ la Milano del Dopoguerra, quella nella quale è cresciuto. Egli è, sostanzialmente, solo eppure circondato dalla figlia Anita, sorta di badante in pectore e dalla figura di un misterioso giovane, dagli occhi spiritati, figlio di un suo ex sodale e compagno di partito. Ancora una volta nella poetica filmica di Gianni Amelio abbiamo se non uno scontro quantomeno un confronto tra padri e figli. Ed ecco allora che se la prima scena di Hammamet si apre con un Craxi trionfo e trionfante che arringa una folla di compagni socialisti venuti da tutta Europa passano pochi minuti e un bellissimo carrello ci accompagna alla scoperta della villa di Hammamet dove, pochi anni dopo, vediamo lo stesso leader socialista ormai malato e stanco, distendersi su di una sdraio in giardino.
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Non certo un film d’azione certo ma, contrariamente a quanto si è letto, un film estremamente politico. Politico non perché si continua a parlare, per esempio, di capi sezione o di esponenti socialisti o di vicende giudiziarie (che, alla luce di Mani Pulite e della fine della Prima Repubblica hanno com’è naturale che sì un ruolo ma non così centrale) ma politico perché di politica, in senso filosofico e astratto, si continua a parlare. Figlio di un tempo che non c’è più e nonostante i mille vizi carnali che poteva annoverare, Craxi era un teorico della politica fino al midollo. E la scena nella quale vediamo l’anziano ex Presidente del Consiglio spiegare alla figlia la sottile ma fondamentale differenza tra popolo degli elettori, a cui prima gli esponenti politici si rivolgevano, e la gente, anonimo gruppo di individui senza differenze di classe, censo e cultura, la dice lunga sul contenuto politico dell’intero film.
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Film però che pecca nel ritmo e nei ruoli dei comprimari. Perché se Favino è una sorta di eroe mitologico quando fa Craxi, gli altri attori sono meno convincenti (ad esclusione di Renato Carpentieri, che interpreta un ex compagno di partito e di Livia Rossi, la figlia). In particolare Fulvio, il misterioso giovane figlio del fu operaio diventato dirigente socialista, lascia davvero interdetti: una recitazione iper-caricata, piena di faccette, sguardi intensi e frasi pronunciate con un sacco di sfumature. Troppe. La sensazione è quella di un uomo che potrebbe avere una sincope da un momento all’altro non di un ragazzo, giovane, magari con qualche problema e con un passato oscuro ma che vuole capire, in tutti i modi, il perché l’orco socialista, aka Craxi, abbia fatto ciò che ha fatto.
Ma la tangenti? Il sistema delle dazioni che ha inquinato l’Italia per vent’anni? E le donne, le innumerevoli amanti, vere o presunte, si legavano a Craxi dove sono? Beh ci sono ma anche no. Nel senso che la carne, anzi il sangue in questo film un po’ si cita ma tanto si cela e ciò non aiuta certo a impressionare lo spettatore. Non è una visione semplice Hammamet non tanto perché sia un film pieno di scelte registiche innovative o sorprendenti (anzi le parti più descrittive e realistiche sono molto belle, come i ragazzini tunisini che mangiano la pastasciutta insieme ai soldati di guardia alla casa di Craxi, mentre le parti oniriche non convincono per niente) ma perché il film di Amelio è estremamente concettoso e teorico.
Per un politico come Craxi, teorico ma anche pratico che, come canta Dargen D’Amico in Crassi, può essere assimilato ad una sorta di fantasista di dubbia moralità, forse occorreva altro. Più popolo e meno apparato, più Sole dell’avvenire e meno tenebre delle quinte di scena che vanno bene a teatro ma al cinema no. Hammamet è quindi un film riuscito solo a metà e buona parte di questa metà la si deve, come avrete capito, a Favino.