Interno, prima serata. Un uomo che dimostra la metà dei suoi anni è disteso sul divano, tra telecomandi, gatti e fazzoletti. La terribile influenza autunnale l’ha colpito e affondato, e lui adesso ha deciso che è il momento di spaventare il male di stagione con la visione di un programma che, secondo i suoi calcoli, dovrebbe provocare brividi talmente alti da sciogliere anche la febbre gialla. Zappa un po’ sui canali, dribbla Fuocoammare su RaiTre perché lui vuole guarire, mica peggiorare, e va diretto su Canale 5. Come nel miglior medioevo catodico, andrà in scena la pubblica gogna al pugile tamarro che ha offeso a morte una signora televisiva e il malato non può perdersi questo incantesimo annunciato al Grande Fratello VIP.
Antefatto: Clemente Russo, il pugile, ha inforcato ogni paletto del politically correct, parlando come ci s’immagina parli Donald Trump quando si rilassa a bordo piscina. Ha usato parole offensive nei confronti di Bosco Cobos, omosessuale spagnolo che partecipa al programma perché (presume il malato) archetipo omosessuale da commedia all’italiana negli anni ’80. Bosco ha infatti la voce molto alta, piange sovente, si veste con le gonne, cantilena quando parla e aderisce in tutto e per tutto al luogo comune che vuole gli omosessuali delle checche da operetta, macchiette e parodie, buoni caratteristi di un film del quale non saranno mai protagonisti, messi lì dagli autori come vittime predestinate del gioco mediatico dell’ignoranza.
In ogni caso, le offese omofobe di Russo, che ha chiamato Bosco friariello e ricchiuncello, fanno schifo, puzzano di bullismo dopo educazione fisica alle medie e non hanno generato alcuna sanzione, sdoganando di fatto in tv la questione gay = essere umano di serie b. Qualche indignato su Facebook, una ramanzina da Alfonso Signorini che dio solo sa come possa fare la morale uno che in prima serata ha intervistato Ruby Rubacuori e annuendo l’ha sentita dire “mai fatto sesso con Berlusconi”.
Clemente decide che per fare breccia nel cuore degli italiani deve esagerare, e dopo aver ascoltato un racconto fiume di quel genio di Bettarini su quante tipe si è bombato e su come sia stata fedifraga la ex moglie Simona Ventura, viene in suo soccorso dicendo che le donne che tradiscono andrebbero lasciate morte lì. Tranquillo, Clemente, a casa mia si chiama istigazione all’omicidio ma te dormi sereno. La Ventura giustamente mette di mezzo gli avvocati col pugile, poi interviene la stampa, pure il Ministro della Giustizia, tutti a volerlo vedere bruciato sulla più alta pira sacrificale, che si debba vedere anche dalla Luna.
Russo viene cazziato da Ilary Blasi, che inspiegabilmente non usa l’epiteto Piccolo uomo per paura di ricevere un altro 45 giri da Spalletti, poi squalificato dal gioco. Bettarini, cazziato pure lui, piange in studio e dice di essere sempre rimasto sotto a Simona Ventura, poi si autodefinisce coglione, facilitando il lavoro dei cronisti, ma rimane in gioco. I due si giustificano dicendo che sono discorsi da uomini negli spogliatoi della palestra, ma il malato, quando non è malato ne frequenta una e non ha mai sentito dire niente del genere, fortunatamente.
Pausa, stacco: due cubiste madre e figlia vengono prese a male parole da un’altra cubista prima e da una di Uomini e Donne poi, così almeno il malato suppone. Si assiste a una scena madre che fa salire una nausea che fa concorrenza a quella di Sartre, poi la solita solfa: nomination, chi manderesti a casa, vip, la casa, la prova, le risate, la pubblicità, the panic, the vomit. God loves his children yeah (Paranoid Android – Radiohead, 1997) .
Alla fine il malato è sempre lì, sul divano ed è così scioccato che non riesce a parlare nemmeno. Come in un body horror di Cronenberg, sta prendendo la forma del suo paese, l’Italia. Sta diventando uno stivale deforme e pieno di germi. Nella sua testa vorticano immagini febbrili in cui gli autori di Mediaset decidono razionalmente di mettere nella stessa casa il pugile più italiano medio che ci sia, insieme con l’ex calciatore ex playboy dalla lingua lunga, due vecchie soubrette, mamma e figlia vinte dalla ricerca a vuoto della telecamera e altri comprimari in un tremendo bidone dell’organico riciclato che il malato andrà a ingurgitare voracemente, sentendosi partecipe delle sorti della nazione, dei suoi vizi e delle sue virtù. Sentendosi giudice e carnefice, finalmente non solo a parole sul social ma anche nella realtà. In cui possa punire il vip e ridurlo in lacrime, in cui possa distruggerlo, perché se il malato non ce l’ha fatta, nessuno ce la deve fare. Il politicamente corretto è ovviamente un pretesto per uccidere la carriera di qualche morto di fama. Alla fine, al malato non gliene frega niente della Ventura. Proprio niente. A occhio, neanche a Mediaset, che non ha chiuso il programma né si è prodotta in scuse ufficiali ai protagonisti della vicenda e a tutti noi.
Epilogo: il malato è sempre seduto sul divano, in mezzo ai fazzoletti, ai gatti e ai telecomandi. Non ha più la forma dello stivale, sta tornando a quella originaria, ma la sua faccia è spenta, come quella di chi ha subito un danno. Ha un solo pensiero in testa: il paese che si fa fare la morale dal Grande Fratello VIP è un paese che sta morendo. Alla fine il malato si alza e va alla finestra, guarda fuori e pensa che la strada sia più bella della televisione. Poco ma sicuro.