Non sta bene parlare di un film citando solamente il suo attore principale, ma quando un interprete sarebbe capace di reggere sulle spalle anche un monologo di 8 ore una menzione speciale diventa obbligatoria. Gary Oldman è Dio, funziona come sogno erotico per tutte le età, dalla versione punk in Sid e Nancy, passando per quella goth del Dracula di Bram Stoker e addirittura nelle vesti del prete come nell’ultimo video di David Bowie. È uno dei volti più camaleontici del cinema britannico e con Winston Churchill in Darkest Hour ci regala l’ennesima trasformazione della sua incredibile carriera. Non guasta certo il supporto dell’ottima regia di Joe Wright, così come il lavoro di attori in splendida forma come Ben Mendelsohn nei panni di Re Giorgio VI e Kristin Scott Thomas come consorte di Churchill, ma il cuore pulsante del film rimane Oldman, che sente già profumo di candidatura agli Oscar 2018.
Darkest Hour è il ritratto di un Winston Churchill complesso e sfaccettato, impegnato nella gestione politica del Regno Unito all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Il film di Wright chiude il cerchio storico aperto dal Dunkirk di Christopher Nolan, mostrandoci cosa succedeva in patria mentre i soldati inglesi sulle coste francesi aspettavano di essere salvati da un imminente massacro. Mentre Nolan mette in scena l’agonia dell’attesa, Darkest Hour è puro dinamismo, con un ritmo che quasi strizza l’occhio al thriller. Lontano dall’essere un classico film in costume tutto ricostruzione storica e biografia, Darkest Hour abbraccia Churchill in tutta la sua umanità. Lo vediamo in pigiama, mentre dà da mangiare al gatto, lo vediamo ridere e piangere, abbandonando almeno per una volta il tipico grugno imbronciato della maggior parte delle sue versioni cinematografiche. Di nuovo, ci tocca lodare senza ritegno l’attore dietro il personaggio.
Abbiamo visto il film in anteprima nazionale insieme all’italianissimo montatore del film, Valerio Bonelli, che a sua volta parla di Oldman come di un fenomeno della recitazione che ti strega al primo ciak. Un momento è Oldman e l’attimo dopo è Churchill, senza battere ciglio, in barba a tutto il Metodo Stanislavskij dell’immedesimazione psicologica. Il pazzesco make up realizzato da Kazuhiro Tsuji rischiava seriamente di nascondere l’attore sotto uno spesso strato di plastilina, ma, nonostante le tre ore di trucco prima di ogni ripresa, è Oldman che indossa la faccia di Churchill e non il contrario. Darkest Hour investe tutto sul carisma del suo protagonista, che compare infatti praticamente in ogni singola scena del film, e investe su Oldman, che possiamo nuovamente adorare come divinità ufficiale e perenne.
P.s. La visione è caldamente consigliata in lingua originale. Fatelo per Gary.