TV e Cinema
di Mattia Nesto 26 Luglio 2021

Erwig e la Strega, la CGI sbarca allo Studio Ghibli

Erwig e la Strega non è certamente un film d’animazione perfetto, ma i suoi più grandi problemi non sono dovuti alla computer grafica

Lo so cosa volete sentirvi dire: Goro Miyazaki ha sbagliato tutto, la scelta di abbracciare la CGI, al posto del tradizionale e superbo disegno dello Studio Ghibli è il grande problema di questo nuovo lungometraggio. E invece, cari amanti della restaurazione, mi spiace deludervi: Erwig e la Strega non è certamente un film d’animazione perfetto, ma i suoi più grandi problemi non sono dovuti alla computer grafica, piuttosto ad una sceneggiatura che a tratti rasenta la sciatteria. Tuttavia, in modo un po’ paradossale, non me la sento di sconsigliarvi questa visione, vi spiego perché.

Come già capitato in passato per Il castello errante di Howl, la “materia sorgente” di Erwig e la Strega è l’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones ambientato in un’Inghilterra all’apparenza di fantasia ma dai tratti molto reali. I primi venti minuti del film sono praticamente perfetti. La scena iniziale, in cui si vede una misteriosa donna dai capelli rossi lasciare sulla porta di un orfanotrofio sua figlia in fasce è magistralmente girata e lascia presagire ottimi risvolti dovuti all’animazione. Erika, il cui vero nome però è Erwig, è, letteralmente, una bambina magica, dotata di un’intelligenza superiore e capace di manovrare più o meno a piacimento le altre persone. Questa sua caratteristica viene enfatizzata dalla pettinatura, con le due codine verticali che ricordano molto da vicino l’insetto “forbicina” che, apprendiamo da Wikipedia: “L’epiteto specifico latino auricularia significa relativa all’orecchio (auricula) ed in lingua inglese il nome di questo insetto è earwig, ovvero creatura dell’orecchio. Il nome tedesco “Ohrenzwicker” ha pressappoco il medesimo significato. Entrambi derivano dalla convinzione, molto diffusa quanto priva di fondamento, che questo insetto penetri attraverso l’orecchio nel cervello umano e vi nidifichi“.

La vita di Erika non è tutta rosa e fiori, anzi.  La vita di Erika non è tutta rosa e fiori, anzi.

Erika si trova benissimo all’orfanotrofio (contrariamente a storie di questo tipo) e per tale motivo non ha alcun interesse ad essere adottata. Eppure una strana coppia, formata da un donnone e da un inquietante spilungone, la scelgono. Nonostante le resistenze, Erika alla fine deve andare a casa con loro. La bambina, che come ho ricordato prima è molto sveglia, capisce fin da subito che Bella Yaga e Mandragora, così si chiamano i due, sono rispettivamente una strega e un demone. Tuttavia, invece di spaventarsi e perdersi d’animo, decide di sfruttare la situazione a suo favore: vuole imparare la magia e quale modo migliore lavorando a fianco a fianco con una fattucchiera?

Bella Yaga non è certamente una che ti fa stare con le mani in mano  Bella Yaga non è certamente una che ti fa stare con le mani in mano

In questa sorta di casa-prigione, Erika piano piano comincia a scoprire i vari segreti delle stanze, come quella di Mandrogora, praticamente inaccessibile dall’interno ma da cui proviene una musica inquietante. Erika si dimostra una lavoratrice tenace anche se Bella Yaga la mette a dura prova con continui e pressanti compiti. Per fortuna la bambina fa presto conoscenza con Thomas, un gatto nero che le ricorda tantissimo il suo amico di infanzia Budino. Ecco: vi ho raccontato i primi venticinque minuti, mi spiace dire che da questo punto in poi il film si “pianta”. Non è tanto il ritmo a calare quanto la consequenzialità delle azioni che iniziano, per così dire, a ruotare in cerchio, non portando ad alcun sviluppo significativo.

Thomas è davvero molto carino!  Thomas è davvero molto carino!

Ci sono momenti interessanti, intendiamoci, come quando Erika e Thomas si mettono a preparare una lozione magica ma, contrariamente a un film Ghibli classico, che parte piano e che poi va avanti e termina in crescendo, qui si assiste al contrario. Anche il finale, che non vi dirò ovviamente, lascia un po’ tutto in sospeso. Eppure, come sostenevo all’inizio, il film va visto perché, anche se la storia non è perfetta, le animazioni e il comparto artistico generale sono abbastanza piacevoli. Non è un capolavoro, ma si tratta pur sempre del debutto in CGI dello Studio. Anche Mandrogora, nonostante sullo schermo appaia poche volte, è un personaggio dal buon potenziale che rimane inespresso, così come il resto della pellicola. Un’opera potenzialmente molto buona che si attesta su una soglia poco sopra la sufficienza, a mio modo di vedere, e trova nella colonna sonora il suo lato più riuscito.

Satoshi Takebe ha infatti realizzato dei pezzi suonati benissimo, con un rock anni Settanta che, senza fare urlare al miracolo, si inserisce perfettamente nell’economia del raccontato, dando per di più un sapore totalmente differente rispetto a un film di Miyazaki padre. Insomma, a conti fatti, Goro deve ancora trovare la sua anima artistica e, soprattutto, fare i conti con un modo di sceneggiare i film migliore e meno affrettato. Erwig e la Strega aveva tutte le potenzialità per diventare un grande album e invece è rimasto (solo) un ep con qualche spunto interessante.

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