Fino al 1996, per l’italiano medio se eri toscano eri automaticamente fiorentino. Icché tuvvòi, la hohahola holla hannuccia horta, la parlata cantilenante alla Pieraccioni, Batigòl e tutti i cliché legati al capoluogo.
Quando irrompe nelle sale cinematografiche Ovosodo, terzo film di Paolo Virzì, un romanzo provinciale di formazione, tutto imperniato sulla perdita dell’innocenza e intriso di livornesità fino alle ossa, fa un botto totalmente inaspettato.
Attori perlopiù debuttanti, tranne Marco Cocci, Claudia Pandolfi e Nicoletta Braschi, che per questo film vincerà anche il David di Donatello, per un teen drama per niente americano, l’opposto piuttosto. L’epopea di Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini) col fratello disabile, il padre galeotto e la matrigna nevrotica, che trova negli insegnamenti e nella dolcezza della professoressa Giovanna (Braschi) l’unico appiglio per farcela a venir fuori dall’adolescenza.
Dentro c’è un distillato purissimo degli anni ’90 nella costa livornese, fatta di amici ricchi che si vestono da poveracci perché va di moda il grunge, personaggi allucinanti tipo quello che è un mito perché rutta parole lunghe come Wyoming o Baule, le ragazze che a quell’età lì non le capisci quasi mai, quelle che vengono dalla città vera, che hanno studiato e sono piene di pensieri che a te non verrebbero mai in mente.
Tutta la spensieratezza, la furia devastante e il bagaglio di ricordi indimenticabili che solo l’adolescenza ti fa mettere da parte, e che serviranno durante tutto il resto della vita adulta, quando ti sei sistemato un po’ come veniva, un lavoro l’hai trovato anche se sognavi l’America e sei finito in fabbrica e magari la fabbrica è proprio di quel tuo amico che sembrava tanto figo, ma alla fine t’ha inculato perché lui è il padrone e te l’operaio.
Ovosodo, che oltre a essere un quartiere nel centro di Livorno è anche sinonimo di magone, di un nodo alla gola che se lo conosci e inizi a fartelo amico, non ti farà così tanto male, ma sarà comunque sempre lì, a ricordarti che sarebbe potuta andare in un altro modo.
Il film che ha sdoganato il boia dè come way of life, prima che venisse esasperato mediaticamente da Paolo Ruffini. Un modo di vivere fatto di indolenza e sarcasmo, in cui non si riesce a star seri neanche durante le tragedie e in cui si prende tutto di petto, come per caricare un tiro al sette. La livornesità fatta di personaggi in canotta con lo stecchino da denti in bocca che offrono il caffè al bar pur non avendo neanche pranzato dalla miseria, di ragazzi tipo rasta o col caschetto biondo che ai tempi faceva tanto Kurt Cobain ma anche Hanson, in due in motorino, uno guida e l’altro tiene il surf, di giovani musicisti più o meno punk, perché a Livorno negli anni 90 chi suonava faceva più o meno punk, anche quando era un cantautore. Una Livorno in cui, come dice Piero: “Un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo e venivi bollato per sempre come finocchio.”
Una città di porto in cui apparire ganzo è più importante che esserlo, in cui chi la spara più grossa vince. L’aggiornamento dei vitelloni, stavolta senza soldi, che al posto di lavorare preferiscono godersi la vita come viene, e prendono delle bastonate che poi se lo ricordano finché campano. Un tempo che non conosce ancora il politicamente corretto, guardato dagli occhi stralunati e ingenui di un ragazzo che non riconosce l’ignoranza come virtù.
Ovosodo è il film della disillusione generazionale di chi, finita la scuola, si ritrova a fare grandi progetti per poi rimanere al palo. Ecco perché non passerà mai di moda e ogni replica a tarda notte in tv sarà sempre un tuffo al cuore.
Informazione di servizio: se volete festeggiarlo, l’associazione The Cage, diretta da Toto Barbato (che in Ovosodo interpreta l’amico di Piero, quello appiccicoso che ama la divisa della polizia perché è più dinamica e moderna) in collaborazione con Motorino Amaranto, ha voluto onorare l’anniversario con Ovosodo Village, una festa a Livorno, in Fortezza Nuova dal 18 al 23 luglio, in cui ci saranno proiezioni, incontri, itinerari del film e in cui è stato invitato tutto il cast: Edoardo Gabbriellini , oggi stimato regista, Claudia Pandolfi e Marco Cocci, ma anche lo stesso Paolo Virzì, che nel frattempo è diventato uno dei più grandi registi italiani. Per tutte le informazioni, leggete qui.
Occhio però, una volta visto com’era il mondo vent’anni fa, potrebbe venirvi un ovosodo in gola che non va né in su né in giù.