Dopo la chiusura dell’ultimo Blockbuster a Edinburg, Texas, sono rimasti attivi solo 8 negozi della ex famosissima catena di videonoleggio: due sono in Oregon, gli altri sei in Alaska. Ultimi baluardi di un mondo che non c’è più.
Pensate che nel 2004, Blockbuster aveva 9000 negozi nel mondo e dava lavoro a 85000 persone, poi internet è diventato il centro di tutto e con lui lo scaricamento pirata, lo streaming legale o meno, i network a pagamento, il multiformato, il Bluray, il 4k, lo smartphone, il tablet, la smart tv e tutte le altre occasioni per poter guardare un film.
Il 2004 tra l’altro è stato un anno stupendissimo per quanto riguarda i film: oltre a Spiderman 2 e Kill Bill 2, nelle sale sono usciti due capolavori dello spleen contemporaneo: Lost in Translation e Eternal Sunshine of a Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello, per i masochisti). Giusto per contestualizzare il periodo.
Se andate indietro coi ricordi, quando è l’ultima volta che siete entrati in un videonoleggio? Personalmente non ho mai amato troppo i Blockbuster, luoghi piuttosto asettici in cui si trovavano 40 copie del blockbuster di turno (appunto) e poca scelta di roba strana, quella che piace a me. Ricordo i commessi con le divise tipo quelli di Footlocker ma coi colori dell’Hellas Verona e grandi file di dvd coi faccioni di Tom Hanks o Tom Cruise.
Io ho ancora nel naso l’odore dei vecchi videonoleggi di provincia, specializzati in VHS. Quelli che sembravano labirinti in cui perdersi tra copertine di poliziotteschi, capolavori horror di serie z, pretenziosi film del tardo Godard e l’ultima uscita che non ce la trovavi mai. Una copia sola c’era, ed era sempre fuori.
Ricordo nitidamente l’epoca pre-stalking in cui seguivamo lo sconosciuto che si era appena accaparrato il film che volevamo vedere noi. Ci segnavamo fattezze, numero di targa, abitudini e facevamo le nostre ricerche per capire quando l’avrebbe restituito, per non farselo sfuggire di nuovo.
Come dimenticare la paura e la voglia di entrare nel reparto proibitissimo dedicato al porno, in cui tutte quelle scene di accoppiamenti mascherati e caserecci che spuntavano dalle fottute pareti ci davano la labirintite, e poi non si poteva mai sapere chi ci avremmo incontrato. Il vicino di casa, il prete, svariati conoscenti, altri adulti insospettabili. E una volta scelto il trastullo, respirone e nonchalance settata al massimo per uscire dal reparto e andare a pagare, come se fosse una cosa normale, da uomini navigati, evitando accuratamente qualsiasi sguardo.
È stato lì che io, timidissimo minorenne alla ricerca di sensazioni forti, ho noleggiato un Moana d’annata proprio mentre sopraggiungeva casualmente la ragazza della quale ero vanamente innamorato, che ha sgamato la mia perversione e da allora mi ha guardato come si guarda la cacca pestata coi sandali.
Senza internet a portata di mano, le informazioni dei film sconosciuti erano relegate alla foto/disegno di copertina e alle sporadiche foto sul retro, con la descrizione di quattro righe che spesso ci ha fatto costruire una cultura su film rinnegati anche da produzione, cast e tecnici.
Spesso il nastro dei VHS si smagnetizzava dopo la milionesima visione e creava rumori video analogici, effetto neve, colonne sonore inquietanti che sembravano suonate da ubriachi e scene di nudo talmente consunte di fermo immagine da non riuscire a vedere proprio niente.
Lo sguardo torvo del gestore del negozio quando non riavvolgevamo la videocassetta, tutte le migliaia di lire spese per i giorni di ritardo, che romanticheria.
Ora ci vorrebbe un finale tipo “avevamo meno ma stavamo meglio” e invece per niente: viva internet, viva lo streaming, i vari Netflix e Sky, viva l’alta definizione, lo schermo piatto da 55 pollici, il making of e gli easter eggs, viva tutto quello che concorre a rendere la nostra vita più semplice, con più qualità. E ciao còre al Blockbuster texano.