Ho visto Belle di Mamoru Hosoda e ho pianto lacrime di gioia.
Quando sono uscito dal cinema dopo aver visto Belle di Mamoru Hosoda debbo ammettere che ho avuto in testa la colonna sonora per giorni. Anzi, ancora adesso, basta un attimo e zac! ecco che le note di A Million Miles Away risuonano dentro me. E non perché il film d’animazione con protagonista Suzu non sia un film interessante dal punto di visto della sceneggiatura, specialmente perché ho trovato un tipo di scrittura in crescendo, che più avanti migliora, ma perché la musica, mai come in questa caso, è un puro elemento narrativo.
Quella che infatti poteva essere una, sostanzialmente, banale storia di “scoperta di sé, dei propri sentimenti e dei modi di intessere legami con gli altri” di una ragazza, diventa in Belle una sorta di manifesto programmatico della “nostra” umanità. Attraverso infatti questa ragazzina, Suzu, la protagonista, scopriamo tutti i nostri limiti, la difficoltà di superare i blocchi che la nostra vita ci impone: la perdita di una persona casa, un obiettivo non raggiunto, la difficoltà nell’esprimere la propria indole, artistico e non. Tutti ostacoli appunto che ci impediscono di fare sentire la nostra voce, rischiando di generare veri e propri “mostri” che, spacciandosi per paladini della giustizia e del bene, perseguono e fanno male agli altri.
Ecco quindi che la dicotomia, facilmente intuibile dal titolo del film presentato al Festival di Cannes, tra Belle, la “Bella” della storia, avatar-quintessenza della idol perfetta, con una voce meravigliosa, una presenza scenica incredibile e degli outfirt indimenticabili, e “la Bestia”, ovvero il Drago, il misterioso individuo che, apparentemente senza motivo sconvolge il mondo virtuale in cui è immersa la nostra protagonista, è al centro dell’intera narrativa. Il disvelamento delle motivazioni del Drago ci faranno, non soltanto scoprire un altro tipo di angolatura con cui vedere le vicende qui narrate ma anche, perché no, ci forniranno utili, anzi utilissimi strumenti per scoprire noi e gli altri.
Già perché Suzu, appassionata sin dalla tenera età della musica e del canto, in Belle non riesce a cantare. Non riesce, ci prova ma, addirittura, quando lo fa ha dei conati di vomito: questo perché la vicenda personale di Suzu fa sì che il canto sia per lei non una via per liberare il proprio Io, ma un qualcosa che la mette in connessione con un passato che non vuole ricordare. Per questo “si fa” Belle, interpretando, attraverso giustappunto un avatar “altro da sé”, un’altra vita. Una storia di maschere in contrapposizione/correlazione con gli individui: no, non siamo in Batman ma non siamo neppure così lontani.
Tutto questo (e molto altro) è Belle, una storia che, come ricordato prima, più va avanti più diventa profonda. E non vi è neppure parlato del disegno e dell’estetica che, come potete ben vedere, è assolutamente fuori scala. Insomma parafrasando la canzone principale, il fatto che Koch Media Italia e Anime Factory abbiano portato in sala un film d’animazione giapponese in distribuzione normale (e non “come evento speciale) è come una pietra preziosa in un sogno. Approfittatene e andate a vederlo e a sentirlo, prima di svegliarvi.