Non che la locandina di Annientamento (dal 12 marzo su Netflix) facesse ben sperare, con Natalie Portman, Jennifer Jason Leigh e il resto del cast di dimensioni via via più piccine a seconda dell’importanza nel film e del rango di star. Non si vedevano dei protagonisti di così varie grandezze dai tempi de La compagnia dell’Anello: ma quello era Il Signore degli Anelli e, ovviamente, era tutta un’altra storia. Tuttavia il film scritto e diretto Alex Garland, già autore dell’interessante Ex Machina poteva avere più di una freccia al proprio arco.
La storia è tratta dal primo capitolo della trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, ed era in origine molto affascinante: per una qualche ragione non meglio precisata una piccola zona paludosa degli Stati Uniti viene investita, dopo che un meteorite si schianta al suolo causando un violento bagliore, da una serie di fenomeni strani, primo fra tutti una sorta di barriera arcobaleno che isola l’area.
Le comunicazioni radio e satellitari qui non funzionano, come se fossero schermate. Inoltre non soltanto una vegetazione incontrollata e dalle forme inconsuete ha iniziato a crescere tutto intorno ma anche gli animali presentano segni di inquietanti mutazioni sempre più evidenti. Perciò il Governo degli Usa decide di isolare l’area, facendo evacuare i pochi abitanti, e quindi di mandare squadre di militari per capire cosa stia succedendo. Ovviamente, come da copione, nei successivi tre anni i commandos non fanno mai ritorno.
Ed ecco che qui entra in gioco Lena (Natalie Portman), medico militare ora insegnante di Biologia Molecolare all’Università: suo marito, il Sergente Kane, dopo 12 mesi di missione segreta nell’area X, torna un giorno a a casa (si credeva fosse morto in azione) con misteriose ferite e in fin di vita. Lena decide quindi di partire alla volta proprio dell’area contaminata. Qui incontra un altro gruppo di studiose e/o volontarie la dott.ssa Ventress, Thompson, Radek e Cass Sheppard. Questo eterogeneo gruppo decide di partire alla volta del centro dell’Area X, il faro che dà sulla costa, per comprendere, una volta per tutte, il mistero di quella zona.
Insomma non sono passati neppure dieci minuti di film è già la logica è andata a ramengo. Cioè facciamo mente locale: sul territorio nazionale degli Stati Uniti precipita un meteorite che, non solo causa strani fenomeni come crescita incontrollata di piante e ibridazioni di specie animali ma, per qualche ragione, causa anche la morte o la sparizione di corpi interi di marines e militari. E che cosa ci dice il film? Ci dice che l’unica soluzione che il Governo degli Stati Uniti d’America trova per risolvere il problema è mandare allo sbando cinque persone, di cui almeno tre non militari ma semplicemente “trovatesi” in quel posto in quel momento, lì ad investigare.
Chiaro che perfino Trump richiederebbe subito l’intervento della marina, dell’aviazione, sguinzaglierebbe uno stormo di caccia, un gruppo di carri armati e anche dei mezzi anfibi per penetrare nella piccola foresta che è cresciuta nella zona. Ma nel mondo di Annientamento niente di tutto questo succede: si mandano cinque ragazze a piedi, con zainoni da camperisti e delle buffe tute à la Ghostbusters a risolvere il più grande mistero dai tempi di Roswell. Ok, stiamo calmi.
Sulle singole prove attoriali non è il caso di dilungarsi troppo. Natalie Portman è sicuramente un’ottima interprete, anche se il suo personaggio, che realisticamente ha poco più di trent’anni, non solo insegna in una prestigiosa Università ma è già stata “molti anni fa” nell’esercito, quindi sa sparare come neppure John Rambo dopo anni di Vietnam: insomma a confronto di Lena, medico di chiara fama, docente universitario di alto livello e militare provetto, il compianto Stephen Hawking è un onesto mestierante, nulla più.
Per quanto riguarda invece Jennifer Jason Leigh, che interpreta la dott.ssa Ventress a capo della missione, la si vede prendere decisioni che paiono dettate più dalla Sambuca che dalla logica: siamo nel bel mezzo di una notte buia, circondati da mostri abominevoli e giustamente lei se ne sta fuori a fumarsi una sigaretta e a bere caffè (certamente corretto). Peccato che nessun mostro balzi fuori a sbranarla anzitempo. Delle altre tre “protagoniste”, Sheppard muore prima che possa spiaccicare più di tre battute mentre Radek e Thorensen sono così caricaturali che a confronto Yoghi o Bracco Baldo sono personaggi di Ibsen.
Va bene ma almeno, direte voi, le creature, i mostroni che popolano le paludi saranno pur fighi, generati come sono da mescolanze genetiche ad-cazzum prodotte dal meteorite alieno. No, peccato, anche in questo caso avete sbagliato. Con tutto lo scibile animale a disposizione, quelli di Annientamento hanno pensato bene di far vedere come prima creatura un alligatore extra large.
Sì, avete capito bene: niente dinosauri zombie, insetti fuori misura o grifoni mutanti. Il “folle” parto della mente del regista è un alligatore realizzato in CGI, appena appena sopra la sufficienza fra l’altro, con l’unica specificità di avere al posto delle normali fila di denti, una serie di canini concentrici simili a quelli degli squali. Ecco il prodigio del meteorite: praticamente fa il lavoro di un cattivo odontotecnico!
Come se ciò non bastasse anche le altre creature che si incontreranno saranno talmente pasticciate da non capirne neppure la forma oppure saranno così inutili e male realizzate da far cadere all’istante le braccia. Anche la trovata che le piante e i fiori, in questa confusione genetica, abbiano assunto cellule umane e per questo crescano con forme “umanoidi” non è niente di nuovo: chi ha giocato, anche solo per dieci minuti, a Dark Souls 3 si trova immediatamente a casetta sua (come testimonia questa eloquente immagine).
Alex Garland costruisce un film lento, che si dipana con grande fatica tra i più classici e triti flashback di Lena e i fatti paranormali, che però non destano mai concreta meraviglia, che accadono tutto intorno. Non c’è mai una trovata veramente originale, un momento di reale tensione o, anche, un attimo di comicità pura: il mondo di Annientamento è serissimo eppure completamente assurdo, come una sbronza triste, anzi peggio.
Il finale poi, in questo senso, raggiunge davvero un picco a metà strada tra la noia e il ridicolo. Capiamo perfettamente che Natalie Portman sia innamorata pazzamente di suo marito, il ballerino Benjamin Millepied, ma la scena in cui, letteralmente, pare danzare con la misteriosa presenza (nessun spoiler tranquilli) non solo non trova alcuna ragione d’essere ma è proprio brutta e barbosa da guardare. Laddove ci si aspetterebbe qualche scontro all’ultimo sangue stile Alien o qualche vertigine tra la fisica quantistica e le teorie delle stringhe à la Interstellar, qui si assiste ad una sorta di goffa gara di mimo. Alla fine vince, molto probabilmente, chi spegne il televisore o il portatile per primo.
Annientamento arranca sotto molto aspetti e non basta, come giustificazione, il fatto che non sia una produzione di punta della Paramount. Infatti con budget di molto inferiori a questo (si parla di quasi 55 milioni di dollari) nel corso degli anni si sono realizzati dei film di fantascienza molto ma molto migliori. Qualche esempio? Evolution è molto più divertente e, anche se cazzaro nel midollo, ha una computer grafica, per l’epoca, nettamente migliore rispetto ad Annientamento; Doomsday e The Horde, in quanto ad atmosfera a corto budget, superato di n volte il film di Garland così come The Thing appare insuperabile per quanto concerne il rapporto tra fantascienza e biologia. Se poi vogliamo giocare in casa, un film fatto con due, è il caso di dirlo, lire come Il seme dell’uomo di Marco Ferreri del 1969 ha una profondità e una classe che Annientamento si sogna la notte.
Nonostante in queste ore in rete circolino dei voti altamente lusinghieri, dal 7,8 di IMDb, al 79 di metascore (media dei voti dei critici) fino all’87% di gradimento su Rotten Tomatoes, fidatevi: Annientamento non è un bel film, neppure per metà. Dopo The Cloverfield Paradox,
Netflix inciampa ancora una volta sulla fantascienza. Si tratta di fantascienza sci-fi di maniera, in cui viene a mancare un finale completo (è vero che, in teoria, dovrebbe essere solo il primo capitolo di tre, ma anche nelle trilogie i singoli episodi debbono avere un loro dignitoso compimento) e non c’è tensione né colpi di sorpresa. A questo punto se proprio dobbiamo vedere della fantascienza da quattro soldi ci buttiamo su Fascisti su Marte: almeno lì c’è Corrado Guzzanti.