Negli ultimi mesi due brutte notizie hanno colpito il mondo della street art italiana. Prima la mostra organizzata a Bologna staccando dai muri opere di artisti come Blu e Ericailcane. Più di recente l’artista Alice Pasquini che mentre viene esposta e celebrata nelle gallerie di mezzo mondo ha ricevuto salatissime multe per i suoi lavori, sempre a Bologna. Abbiamo chiesto un commento sulla vicenda al collettivo Artlane che da anni lavora e promuove il mondo della street art nel nostro paese.
Tra le opere presentate in occasione della mostra MashUp di TvBoy organizzata al Superstudio Più di Milano, avevamo pensato a un’installazione che ironizzasse sul dibattito, per noi infondato, in merito alla legalità o meno della Street Art. Così abbiamo preso due vetrine del Superstudio Più e ci abbiamo messo dentro due grosse tele. Una, a sinistra, con la scritta “LEGALE” e una, a destra, con la scritta “ARTE”. Poi sul muro a fianco della vetrina di sinistra abbiamo scritto “IL”.
Correva l’anno 2010 e quel tema ci sembrava già polveroso e superato allora. Possibile – ci domandavamo – che la gente, i media e la politica fossero più interessati a cercare di etichettare un’arte come illegale o legale piuttosto che provare a comprenderla e, soprattutto, a lasciarsi sorprendere dalla sua potenza comunicativa?
Abbiamo a che fare con la Street Art dal 2002 e che dopo otto anni ancora si parlasse di street art come di un atto criminale ci sembrava fuori dal tempo. Avevamo già vissuto (e cavalcato) l’onda del post “Street Art Sweet Art” – la mostra che avevamo organizzato tre anni prima al Padiglione di Arte Contemporanea e che aveva presentato a Milano i protagonisti della street art italiana e sapevamo quanta confusione ci fosse a riguardo e quanto i media avessero contribuito a crearla.
Da quando abbiamo a che fare con la street art, l’abbiamo sentita chiamare in molti modi differenti. Urban Painting, Graffitismo, Tag, Writing, Urban Art, Arte Pubblica, Imbrattamento, Urban PopUp, Stencil Art, Post-Graffitismo, Atto Vandalico, Spray-Art, Iper-Realismo, Muralismo e Post-Muralismo. Eppure nessuna di queste definizioni riesce ad esprimere a pieno l’essenza della street art. Perché la street art è uno tra i movimenti più vivi e dinamici dell’arte contemporanea. E i movimenti, per definizione, non possono essere né fermi né, tanto meno, definiti.
Ne siamo convinti, la street art verrà considerata il movimento artistico d’inizio secolo. Quello che più di ogni altro ha saputo anticipare e interpretare i fenomeni del nostro tempo. Primi fra tutti il concetto di inclusione e partecipazione. In un mondo che sembra andare sempre di più nella direzione di privilegiare l’individuo alla collettività, la personalità del singolo alla pluralità del gruppo, la street art è l’unico movimento artistico che unisce e include riportando l’arte al suo senso originale.
L’arte non nasce come espressione del singolo individuo ma come espressione di un’intera comunità. L’arte non nasce per essere un criptico dialogo riservato a un’élite ma come mezzo di comunicazione per tutti che si rivolge a tutti. Ogni volta che vediamo un’opera su un muro o tra le vie della nostra città e ci chiediamo come mai un artista abbia deciso di dipingere in strada al posto che su una tela ci sbagliamo. La domanda da farci oggi non è perché l’uomo abbia iniziato a dipingere in strada ma perché l’uomo abbia smesso di dipingere in strada.
Quanto accaduto ad Alice Pasquini a Bologna è l’ennesima riprova dell’incapacità delle istituzioni di comprendere e valorizzare un movimento artistico globale. È l’ennesima riprova di una miopia sociale ed economica di un Paese fondato sulla cultura ma che pensa che con la cultura non si possa vivere. Le opere di Alice Pasquini come quelle di Pao, Blu, Bros e tutti i talenti artistici che abbiamo in Italia andrebbero preservate e non cancellate o multate, perché un domani saranno parte del nostro patrimonio culturale. E chi si nasconde dietro alla facile retorica per cui se un’opera è fatta senza autorizzazione è illegale e quindi legalmente punibile si sbaglia. Ma la cosa più grave è che a pagare le conseguenze del suo errore di valutazione non sarà lui o lei ma il futuro culturale del nostro Paese.
Questa affermazione può sembrare eccessiva ma non lo è. Era eccessivo pensare che i Futuristi sarebbero stati il movimento d’avanguardia italiano di inizio secolo? Ai tempi forse sì, ma oggi ci sembra scontato. Noi siamo convinti che tra cinquanta o sessanta anni sembrerà scontato pensare che street artist come Alice Pasquini verranno considerati dei riferimenti dell’arte italiana. Basta considerare quello che (paradossalmente) sta accadendo sempre a Bologna con un altro street artist italiano, forse il più importante street artist italiano, Blu. Le sue opere stanno venendo “strappate” dai muri per essere restaurate ed archiviate. Ovviamente non dalle istituzioni ma da privati che ne hanno subito colto il valore non solo culturale e sociale ma soprattutto economico.
Del resto l’Italia non ci ha mai capito molto di affari quando si parla di arte. Basta pensare a tutti i capolavori della nostra storia e della nostra cultura che nei secoli abbiamo svenduto o abbandonato a sé. Oppure pensiamo al celebre episodio di Peggy Guggenheim che nel primo dopo guerra, quando si trasferì a Venezia, propose allo Stato italiano di lasciargli in eredità tutta la sua collezione in cambio della possibilità di trasferirla in Italia senza pagare alcuna tassa d’importazione. E lo Stato cosa fece? Non accettò. Preferì farsi pagare qualche milione di lire di tasse al posto di ricevere in donazione una collezione che oggi vale milioni e milioni di euro.
La guerra alla Street Art è una guerra contro il futuro dell’arte. E a che fine poi? Dal 2007 ad oggi sono state spese decine di milioni di euro per cancellare le scritte dai muri e qual è stato il risultato di questa politica? I muri delle nostre città sono sempre più deturpati da scritte e tag di ogni tipo. E questo non è un problema legale. È un problema sociale. Chi governa la città dovrebbe domandarsi perché così tanti giovani sentono l’esigenza di imbrattare e distruggere i luoghi in cui vivono. E non limitarsi a cancellare qualche scritta di tanto in tanto.
Anche perché il risultato è fallimentare da tutti i fronti. Economico (stiamo sprecando soldi per pulire muri che sono sempre più sporchi e non stiamo traducendo un asset tangibile – le opere di street art – in valore economico attraverso mostre, aste, pubblicazioni, turismo etc etc). Sociale (i giovani continuano a imbrattare muri, opere e palazzi). Culturale verso il passato (le opere della nostra cultura non solo non sono valorizzate ma non sono neanche salvate dal tempo e dagli atti vandalici). Culturale verso il futuro (quelli che potrebbero essere i futuri artisti di riferimento del nostro Paese vengono costretti a cercare altrove la loro strada).