La vicenda è recentissima eppure già stranota. Per protestare contro l’organizzazione della mostra “Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano” a Bologna che conterrà anche tre sue opere staccate dai muri senza la propria autorizzazione lo street artist Blu ha deciso di cancellare tutti gli altri suoi lavori in città.
Blu è uno degli artisti italiani più conosciuti al mondo, inserito nelle più importanti classifiche mondiali ha lavorato alla Tate Modern, così come a Los Angeles dove ha incrociato altri tipi di polemiche. Proprio questa sua notorietà ha attirato immediatamente ogni genere di commento al clamoroso gesto. C’è chi ha rivendicato la sua legittimità come a dire “Le opere sono mie e le gestisco io“, c’è chi lo ha criticato perché ha recato un danno alla città rendendola più brutta, chi come Artribune ha giustamente indagato i confini legali di un gesto distruttivo del genere scrivendo:
Come noto, la legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/41) tutela, per il fatto della creazione, le opere dell’ingegno di carattere creativo. Tra i requisiti di protezione dell’opera non è menzionata la liceità, con la conseguenza che sono tutelabili anche le opere contrarie alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Sotto tale profilo, il fatto che le opere di Street Art nascano spesso come opere illegali – in assenza di commissione pubblica o privata – non esclude di per sé la tutela di diritto d’autore di tali creazioni. La legge riconosce agli autori il diritto patrimoniale di sfruttamento economico dell’opera e i diritti morali. L’autore, pertanto, è l’unico soggetto legittimato a sfruttare economicamente l’opera e ogni utilizzazione da parte di terzi deve essere previamente autorizzata.
Insomma per farla breve chi voleva staccare i lavori di Blu dai muri era in torto e lui era invece in diritto di cancellare il proprio lavoro, tanto più se minacciato da un utilizzo improprio. Eppure neppure questo della legalità è il punto. Sarebbe paradossale ridurre il dibattito su un’azione artistica (di Blu) e di presunta tutela di questa arte (i curatori della mostra) ad una mera questione di diritto. La discussione e il coinvolgimento generale è stato tale perché quanto accaduto sabato a Bologna racconta un più ampio scontro culturale riguardo la proprietà intellettuale che sta avvenendo tra la testa e la coda della nostra società.
Ricordate giusto qualche tempo fa il maldestro furto da parte del Corriere della Sera di tante vignette fatte da artisti italiani subito dopo il massacro nella redazione di Charlie Hebdo? Allora come oggi la foglia di fico dietro cui il Corriere e RCS si erano nascosti era l’urgenza dell’evento così come il “bene più grande” che muove a decisioni estreme di questo tipo. Giustificazioni che somigliano da vicino a quelle di uno dei curatori della contestata mostra di Bologna di questi giorni, Christian Omodeo che intervistato da Repubblica giustifica così il proprio operato nei confronti del lavoro di Blu: “Gliel’abbiamo chiesto, e non ha risposto. Anche il rifiuto di dialogare è una forma di marketing”. Una risposta praticamente identica a quella del direttore del Corriere che a proposito della questione delle vignette rubate scriveva scusandosi: “Abbiamo contattato coloro che siamo riusciti a raggiungere, precisando di essere a disposizione degli autori per i diritti…“.
Proprio come per l’espianto degli organi anche per l’appropriazione della proprietà intellettuale vale la regola del “silenzio assenso”. Sorpassando i giudizi di merito e il facile esercizio di distinguere alla lavagna i buoni dai cattivi vale la pena invece chiedersi come mai le grandi case editrici così come le istituzioni statali si sentono improvvisamente libere di prendere possesso delle opere altrui senza nessun consenso, per di più inserendole in un ambito commerciale. Il volume pubblicato da RCS che conteneva le vignette copia/incollate da Internet veniva venduto in abbonamento al Corriere della Sera (i ricavati del libro andavano in beneficenza ma quelli del quotidiano no) e la mostra che aprirà a Bologna nei prossimi giorni sarà ovviamente a pagamento.
Istituzioni e gruppi editoriali si trovano improvvisamente sempre più confusi, isolati e staccati da una realtà che non risponde più alle regole della mera legalità (che per altro dimostrano di non rispettare) superata da dinamiche sociali in continua evoluzione e da uno sviluppo tecnologico che va vissuto dall’interno per essere compreso e assimilato. Se l’allora direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli avesse passato un po’ più di tempo su Facebook avrebbe capito da solo che salvare nel proprio computer delle vignette pubblicate online per poi farle stampare in migliaia di copie dalla sua casa editrice “non si fa“. Così come i curatori di mostre sulla street art dovrebbero vivere e comprendere i contesti in cui determinai lavori nascono e crescono per comprendere la semplice logica che raschiarle da un muro significa violentarle. La giustificazione che possiamo trovare è che mai prima d’ora ci siamo trovati in una così grande incertezza dei termini d’ingaggio in fatto di proprietà intellettuale. Tutta colpa o merito della “fotocopiatrice più grande del mondo” come qualcuno chiama amichevolmente internet.
In conclusione è suggestivo vedere come le strade delle nostre città si trovano improvvisamente sullo stesso piano delle “autostrade digitali” dei social network che navighiamo ogni giorno. Spazi senza un insieme di regole precise, prese d’assalto da interessi e azioni violente che non ne rispettano natura e struttura in un’eterogenesi dei fini per cui ogni azione di promozione e curatela finisce per avere fini distruttivi, delle opere stesse come della reputazione di chi opera.
Negli anni ho imparato ad associare Blu a Bologna. Per me che vengo dalle Marche Blu ERA Bologna, un corregionale (lui originario di Senigallia) che aveva saputo raccontare una città meglio dei suoi stessi abitanti. Blu è stato l’espressione visiva, invadente, potentissima e affascinante di un mondo fatto di controcultura, graffiti, fumetti, arte da incasellare e protesta con lo sguardo alzato al cielo che sono gli aspetti più affascinanti del capoluogo Emiliano. Oggi tutto questo non c’è più ed è la dimostrazione di una città e forse tutta una nazione improvvisamente costretta a trovare un nuovo modo di raccontarsi.