Scegli una carta tra quelle qui sopra e memorizzala. Ripeti il nome della carta ad alta voce, mentre guardi negli occhi il fantasmino corrispondente alla carta che hai scelto. Scommetti che indovino qual è la carta?
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Tecnologia e Magia
Diceva lo scrittore Arthur C. Clarke che “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia“, ma oggi possiamo anche permetterci di ribaltare la citazione, “Ogni magia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla tecnologia“ , come afferma la Legge di Niven. Partendo da un’app.
Grigor Rostami infatti è l’inventore di un’app per iOS che nel 2010 ha attirato l’attenzione di David Pogue, noto giornalista specializzato in nuove tecnologie, per le strane recensioni che stava ottenendo sull’App Store. L’app, che oggi non è più disponibile, si chiamava iForce5 e ti permetteva di sfruttare l’accelerometro dell’iPhone per eseguire un trucco di magia. Come funzionava?
In apparenza, si trattava di prevedere la risposta che il tuo interlocutore avrebbe dato a una domanda scrivendola dentro questa app, che sembrava a tutti gli effetti un app di disegno su cui poter tracciare scritte con le dita. Una volta scritta la risposta, appoggiavi il telefono su un tavolo a testa in giù, porgevi la tua domanda e, quando l’ignaro spettatore dava la sua risposta, dimostravi di averla prevista girando lo smartphone.
In realtà, mentre fingevi di scrivere la tua predizione sullo schermo, quello che stavi davvero facendo era innescare, con lo stesso gesto, l’apertura di una schermata segreta. Dato un set predefinito di domande da porre — numeri da uno a otto, banconota, lancio della moneta e simili — a un altrettanto predefinito set di risposte corrispondevano otto modi possibili di voltare il cellulare. L’accelerometro interpretava il movimento e l’applicazione iForce disegnava la risposta corretta sullo schermo, come se fosse stata scritta da te fin dall’inizio.
Aldilà del funzionamento specifico, l’aspetto interessante riguarda i commenti degli utenti sull’App Store: poco dopo il lancio, le valutazioni crollarono da una media di cinque a una media di tre stelle, ma alle valutazioni negative erano associati commenti estremamente positivi.
«Questa applicazione è straordinaria!» (una stella).
«Fantastica applicazione! Una delle migliori e più divertenti. Ottimo lavoro!» (una stella).
«Wow! I migliori tre dollari che abbia mai speso! Continuate con le valutazioni basse!» (una stella).
Perché le persone davano voti molto bassi associate a commenti molto positivi? Rostami cominciò a leggere i forum di magia in rete e scoprì che i maghi, di proposito, attribuivano all’applicazione una sola stella affinché l’algoritmo dello store ne penalizzasse la visibilità, con l’obiettivo di ridurne la popolarità: avevano cioè cospirato per ridurne le vendite, sabotando i punteggi.
Rostami, che è un mago, raccontò a Pogue che in effetti le vendite dell’app erano crollate — solo il punteggio, non i commenti, influivano sull’algoritmo.
Questo aneddoto dimostra una caratteristica della comunità dei maghi: molto protettiva nei confronti dei segreti del mestiere.
I trucchi della mente
Stephen Macknick e Susana Martinez-Conde sono due neuroscienziati che studiano il modo in cui il cervello elabora le informazioni grezze e come le trasforma in percezioni visive. La loro attività di ricerca li ha portati a intraprendere un viaggio nel mondo della magia da cui sono nati un concorso, Illusion of the Year, ormai giunto alla dodicesima edizione, e un libro pubblicato in italiano da Codice Edizioni, intitolato I trucchi della mente.
Che cosa hanno in comune maghi e neuroscienziati? Secondo Macknick e Martinez-Conde, la stessa passione per la comprensione a un livello profondo della mente umana.
I maghi sono artisti molto particolari: manipolano, anziché la forma e il colore, l’attenzione e la cognizione. Sul palco, in effetti, eseguono veri e propri esperimenti di scienze cognitive, talvolta persino più efficaci di quelli eseguiti da noi in laboratorio. (…) I maghi sono dei grandi manovratori della cognizione umana. Sanno dirigere meccanismi cognitivi molto sofisticati come l’attenzione, la memoria e l’inferenza causale, usando uno sconcertante miscuglio di manipolazioni visive, uditive, tattili e sociali. Le illusioni cognitive da loro create (…) non sono di natura sensoriale: coinvolgono funzioni cerebrali superiori.
Le illusioni percettive sono, per definizione, percezioni soggettive che non corrispondono alla realtà del mondo circostante. Chi sperimenta un’illusione visiva vede qualcosa che non c’è, o non vede qualcosa che c’è, o vede qualcosa di diverso da quello che c’è. Non è difficile intuire perché le illusioni percettive siano utili per i maghi, ma l’approccio Macknick e Susana Martinez-Conde dimostra che sono utili anche per gli scienziati come strumento per spiegare i circuiti neurali:
le illusioni non sono eccezioni, e non sono necessariamente errori. Fanno parte della percezione e sono un aspetto fondamentale della nostra elaborazione visiva e cognitiva. Sono scorciatoie che servono al cervello per accelerare l’elaborazione o per ridurre quella necessaria a ottenere informazioni, magari tecnicamente inaccurate ma fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo.
Gli occhi ci mostrano solo in parte ciò che siamo in grado di vedere. Il resto lo fa il cervello, in una miriade intricata di fasi. I maghi hanno capacità di intervenire in queste fasi, dandoci l’illusione della magia.
Un esempio? La manipolazione dell’attenzione. Una delle più celebri definizioni del concetto di attenzione è stata fornita nel 1890 dal fondatore della psicologia moderna, William James, nei Principi di psicologia:
Tutti sanno cos’è l’attenzione. È la presa di possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno tra quelli che sembrano essere oggetti diversi o treni di pensiero simultaneamente presenti. La focalizzazione e la concentrazione della coscienza ne rappresentano l’essenza. Ciò implica l’abbandono di alcune cose allo scopo di occuparsi più efficacemente di altre.
Nonostante il mito del multitasking oggi sappiamo che siamo dotati di un raggio di attenzione, ovvero che la quantità di informazioni che possiamo cogliere in una volta all’interno di una certa porzione di spazio visivo è fortemente limitata.
Quando siamo concentrati su qualcosa è come se la nostra mente vi puntasse un faro: ignoriamo in modo attivo qualsiasi altra cosa succeda all’esterno del fascio di luce proiettato dalla nostra attenzione, e la nostra diventa una sorta di visione tunnel.
Durante i loro numeri, i maghi sfruttano al massimo questa caratteristica del nostro cervello, mettendo in campo innumerevoli e ingegnosi stratagemmi per ridirezionare la nostra attenzione — A me gli occhi! — e impedirci di scoprire il metodo segreto implicito di ogni effetto magico.
Per eludere questi stratagemmi, fanno notare Macknick e Martinez-Conde, è inutile prestare molta attenzione a quello che ci mostra il mago:
Più rafforziamo l’attenzione nel centro del fuoco attentivo, più la inibiamo nelle restanti aree del campo visivo. Naturalmente, il centro del fuoco attentivo è esattamente dove il mago vuole che guardiamo, perché lì non succederà niente di particolarmente interessante.
Tecnicamente, si può parlare di misdirection o di cornici di attenzione. Le cornici sono finestre spaziali che possono avere qualunque dimensione, da quella di una stanza a quella di un pezzetto di carta, create dal mago per circoscrivere l’attenzione degli spettatori.
Macknick e Martinez-Conde hanno intervistato, tra gli altri, il Mago Apollo per chiedere qualche delucidazione. Ecco com’è andata:
«È impossibile non guardare nella cornice — spiega Apollo — Io uso movimento, contesto e ritmo per creare ogni cornice e controllare la situazione». Al fine di dimostrare il concetto si sposta molto vicino a George. Gli afferra la mano e finge di premergli una moneta contro il palmo, ma in realtà gli imprime una sensazione postuma con il pollice. «Stringi forte» gli dice. George si fissa la mano intensamente, ormai catturato in una cornice. Stringe le dita. «Hai la moneta?» lo imbecca il mago. George fa cenno di sì. Ne è convinto. «Apri la mano» ordina Apollo. Il palmo è vuoto. «Guarda sulla spalla» suggerisce Apollo. George obbedisce e vede la moneta.
Apollo spiega che se l’attenzione di un soggetto è catturata in una cornice le manovre che si svolgono all’esterno (come posare una moneta sulla spalla) sfuggono facilmente alla percezione. I maghi, dice Apollo, controllano in maniera costante l’attenzione degli spettatori.
Da questo derivano due regole fondamentali della magia:
- Un movimento grande copre un movimento piccolo;
- Mai ripetere lo stesso numero due volte davanti alle stesse persone.
I metodi per confondere le idee degli spettatori sono sbalorditivi e hanno anticipato di gran lunga molte scoperte neuroscientifiche. Spiega ancora Apollo:
«Nei miei lunghi anni di spettacoli ho notato che l’occhio è attratto più dalle linee curve che da quelle diritte». Ricomincia a palpare il taschino di George, che lo osserva interessato. «Se voglio rubargli qualcosa dal taschino posso attirare il suo sguardo sull’altra mano muovendola ad arco. Se la muovo invece in senso rettilineo, la sua attenzione torna alla mano che lo borseggia». Come un elastico, precisa.
Questa osservazione è stata provata empiricamente, dimostrando l’esistenza di neuroni specializzati nel rilevamento di movimenti saccadici ed altri specializzati nel rilevamento di movimenti d’inseguimento, con priorità diverse in base a criteri di sopravvivenza.
Sveliamo il trucco
Veniamo a noi, ti ricordi la carta che hai scelto?
L’ho rimossa da questa immagine
Confermi? Ho indovinato? Probabilmente sì. Vediamo come ho fatto.
Si tratta di una simulazione — rivisitata — del test Clifford Pickover, autore di libri di scienza e matematica. Il punto è cercare di confondere le idee dello spettatore, suscitandogli un dialogo interiore che rallenta i tempi di reazione e porta a dubitare dei propri stessi pensieri. Per fare questo, le parole sono importanti tanto quanto i gesti del mago e gli oggetti di scena: hanno una funzione importantissima nel pilotare l’attenzione dello spettatore — Sim Sala Bim!
Che cosa ti ho davvero chiesto di fare all’inizio di questo post?
- ti ho chiesto di concentrati su una carta, di memorizzarla;
- ti ho chiesto di ripetere il nome della carta ad alta voce e tu probabilmente avrai pensato: “Che stupidaggine, come se chi scrive potesse sentirmi”;
- ti ho chiesto di fissare negli occhi uno dei fantasmini, quello corrispondente alla carta che hai scelto: ancora, avrai pensato che non avesse senso e che sicuramente c’era un trucco dietro questa immagine…Forse questo scetticismo ti ha portato a guardare meglio quei misteriosi fantasmini.
Insomma, ti ho chiesto di fare di tutto, purché non prestassi attenzione alle altre carte. Capito, no?
Maghi si diventa
La bella notizia per chi è da sempre affascinato dalla magia, è che maghi si diventa. Ci vuole tanto, tanto esercizio e bisogna sapere imparare dai propri errori. Insomma, anche i maghi devono avere il growth mindset:
Anche i maghi, come tutti, possono commettere errori sul lavoro. Ma siccome gli errori di un mago riguardano oggetti e azioni improbabili, gli spettatori difficilmente ne comprendono il significato. I maghi lo sanno, e sono quindi incoraggiati a proseguire come se nulla fosse, persino di fronte a palesi errori di logica. Infatti, fra i marchi di qualità di un mago c’è la capacità di riprendersi con facilità e disinvoltura da qualsiasi situazione imprevista. La lezione è: quando si commette un errore bisogna andare avanti: i maghi, nonostante ne commettano di continuo, se li buttano alle spalle e vanno avanti. Il pubblico difficilmente li nota. Anche voi dovreste fare lo stesso.
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