Di cose che nel mondo non hanno proprio senso di esistere ce ne sono parecchie. Dopo la gente che si ferma davanti le porte appena salita sulla metro, dopo il troppo ghiaccio nei cocktail, dopo l’espresso all’estero che sa di cianuro, dopo il coriandolo, dopo le guerre e dopo qualche politico di cui non farò il nome… in cima alla lista ci sono sicuramente: la precarizzazione del lavoro femminile (perché ha una chiara componente di genere), la crescita del part time involontario, della “sovraistruzione”, il minore accesso alle figure apicali e i redditi complessivi guadagnati dalle donne che risultano inferiori agli uomini.
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Lo dicono i dati Istat e, in particolare, lo dice Laura Sabbadini, direttrice della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche, durante un suo intervento il 26 febbraio a Roma, nella Camera dei deputati. I dati Istat descrivono un quadro davvero deprimente, ma andiamo per ordine.
Le donne che lavorano part time sono 1/3 del totale: il 32,8% contro l’8,7% degli uomini e si parla di part time per le donne per il 60% involontario, contro il 34,9% dello stesso periodo nel 2007. Si parla di part time nella sua componente involontaria, quindi non una decisione spontanea nel tentativo di far conciliare il lavoro con altri aspetti della propria vita.
Nel 2017 i redditi complessivi guadagnati dalle donne erano in media del 25% inferiori a quelli degli uomini (15.373 euro rispetto a 20.453 euro). Una differenza diminuita dal 2008, quando era del 28% ma che persiste in maniera assurda e del tutto immotivata.
Perdura anche la sotto-rappresentazione delle donne in posizioni apicali (solo del 16,8%) e in generale per le donne risulta più complesso trovare una collocazione sul mercato del lavoro conforme o all’altezza del percorso di studi intrapreso: le laureate di primo livello svolgono una professione consona al loro livello di istruzione nel 67% dei casi di contro a una percentuale che supera il 79% per gli uomini laureati di primo livello.
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“Dal 1977 al 2018 il tasso di occupazione in Italia è cresciuto di solo 4,8 punti percentuali, con dinamiche contrapposte dei due sessi: per gli uomini il tasso è sceso di 7 punti (dal 74,6 al 67,6%), mentre per le donne è aumentato di 16 punti (dal 33,5 al 49,5%)” (fonte: ANSA).
Il divario di genere è, quindi, diminuito da 41 a 18 punti nell’arco di 40 anni ma rimane tra i più alti d’Europa, quasi doppio rispetto alla media europea che risulta essere di 10 punti.