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Ha senso laurearsi a 21 anni con voti bassi se poi il lavoro non c’è?

Il ministro Giuliano Poletti

 

Rifiutare i voti bassi e laurearsi in ritardo con 30 e lode all’università è masochismo? La domanda sorge spontanea, vista l’ultima bomba sganciata sui giovani italiani dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha detto: “prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21.” Sui social network le critiche sono scaturite in un nanosecondo, anche perché in Italia ci sono persone che si laureano in regola con i tempi e con il massimo dei voti. Ok, ma c’è qualcosa di più: laurearsi ha ancora senso?

 

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  Partiamo dalle considerazioni un po’ ‘tanto al chilo’ di Poletti: è meglio prendere 97 a 21 anni e lasciar perdere il biennio del 3+2 (la laurea magistrale). Purtroppo le statistiche dicono che se ti porti a casa una laurea triennale e poi cerchi subito lavoro, è molto probabile che rimarrai a spasso. Paradossalmente, è meglio essere un diciottenne diplomato che si butta a capofitto in un impiego appena uscito da scuola – magari da un istituto tecnico-professionale. Se invece vai avanti per la tua strada e, dopo la triennale, prendi una laurea magistrale alla velocità della luce è probabile che ti troverai di fronte a un vicolo cieco. Secondo gli ultimi dati OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – per gli italiani laureati è comunque difficilissimo trovare un lavoro. Insomma, non importa tanto quando e con quale voto ti laurei: il mondo del lavoro è un miraggio.    

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  Infatti l’OCSE dice che “nel 2014, solo il 62% dei laureati tra 25 e 34 anni era occupato in Italia, 5 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione del 2010. Questo è un livello paragonabile a quello della Grecia ed è il più basso tra i Paesi dell’OCSE (la media dell’OCSE è dell’82%).” Come dicevamo prima “l’Italia e la Repubblica Ceca sono i soli Paesi dell’OCSE dove il tasso di occupazione tra 25 e 34 anni è il più basso tra i laureati rispetto alle persone che hanno conseguito, come più alto titolo di studio, un diploma d’istruzione secondaria superiore (o post secondaria non terziaria).”  

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Infatti molte persone hanno fatto notare su Twitter che #Poletti non è laureato e viene da una famiglia contadina. Lasciamo perdere il ministro del Lavoro, che è nato nel 1951. La dura verità è che i tempi sono cambiati e le generazioni dagli anni ’80 in poi sono finite a cavallo di un abisso. Da una parte c’è il posto fisso e la settimana lavorativa di 36 ore; dall’altra la flessibilità esasperata, la mancanza di tutele e l’eta pensionabile che si sposta pian piano verso gli 80 anni.

Non è uno scherzo, saremo sempre più vecchi – speriamo almeno in salute – e dovremo trovare un modo per occupare il nostro tempo. C’è chi suggerisce di trovare lavoro a vent’anni e laurearsi più tardi, magari a 40 o 50. Per come si stanno mettendo le cose, nel 2035 un neolaureato quarantenne sarà fresco come un pulcino.

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Tirando le somme, che dobbiamo fare? Laurearsi subito e buttarsi sul primo lavoro che capita? Stare dentro l’università il più a lungo possibile, prendere un dottorato e poi, chissà? Diplomarsi, lavorare a 18 anni e tirare su una famiglia perché se ci pensi troppo impazzisci? Non arrendersi e cambiare il mondo del lavoro? Non lo sappiamo. Le risposte ce le avete voi.

Lorenzo Mannella

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