Aveva 74 anni, il Parkinson l’aveva pestato più duro di qualunque avversario, era una delle più grandi leggende viventi dello sport: è morto ieri Muhammed Ali, era ricoverato all’ospedale di Phoenix.
Ali sul ring è stato il più forte pugile di sempre e lo è stato in un’epoca in cui il pugilato era diversissimo da quello che conosciamo oggi, molto più popolare, molto più uno sport “per tutti” di quanto sia ora.
Per qualche decennio Ali fu un simbolo: il più grande sul ring, il più grande nella vita e nello sport, un personaggio che ha insegnato tanto, a molti, in discipline anche lontanissime da quella in cui era un campione.
Nato a Louisville, nel Kentucky, il 17 gennaio 1942, il suo vero nome era Cassius Marcellus Clay Jr, lo cambiò una volta convertito all’Islam nel 1964. La vita di Ali è costellata di piccoli e grandi aneddoti, piccole e grandi storie che puntellano una leggenda, la prima, il motivo per cui si decise a boxare.
A 12 anni gli rubano la bicicletta, il piccolo Ali incrocia un poliziotto e promette di dare una lezione a quello che gli aveva portato via la due ruote. Il poliziotto sorride e gli consiglia di andarsene prima in palestra, per imparare a tirarli a modo i pugni. Ed ecco il seme di quello che sarà Ali.
Figlio di un decoratore di insegne, Ali fu un personaggio controverso per l’America degli anni sessanta. Rifiutò la chiamata in Vietnam – e anche qui, un paio di battute entrate nella storia: quando fu intervistato a proposito e alla domanda “Ali, sai dov’è il Vietnam?” rispose “Sì, in TV” e “Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro”.
Fu un paladino delle lotte per i diritti civili dei neri afroamericani, ma è tutta la vita del pugile tre volte campione del mondo, oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960, che si sposò quattro volte, ebbe nove figli – ad essere una lunga, qualche volta gloriosa, qualche volta amara – la lotta con il Parkinson – ma sempre indimenticabile storia da raccontare.
Ci hanno pensato film, documentari, uno su tutti Quando eravamo re, di Leon Gast, del 1996 – pellicola frutto di una gestazione decennale – che col pretesto di raccontare il contorno di “the rumble in the jungle”, l’incontro di Kinshasa del 30 ottobre 1974 tra Ali e George Foreman, finì col comporre un grande ritratto di Ali, forse il migliore, data anche la qualità dei materiali di partenza.
Qualche benefattore dell’umanità l’ha caricato integrale su Youtube, eccolo qui. Addio campione.
https://www.youtube.com/watch?v=wwJr7hqkflo