È morta l’operaia diventata l’icona del femminismo a tutti nota come “Rosie the Riveter“, alla veneranda età di 96 anni. Si chiamava Naomi Parker Fraley ed era diventata famosa per aver rappresentato il motto “We can do it“, (piaciuto anche a Obama e ai copy della Nike). Era il 1941, pochi giorni dopo l’attacco a Pearl Harbor e, con i suoi vent’anni alle spalle, Naomi prendeva posto nella catena di montaggio alla stazione aeronavale di Alameda. Fin qui nulla di sensazionale: durante la seconda grande guerra milioni di donne entrarono nella filiera produttiva per occupare i posti lasciati vuoti dagli uomini al fronte. La percentuale di donne che lavorava fuori casa in quegli anni passò dal 29% al 36%. Questo fenomeno iniziò a scalfire lo stereotipo del “gentil sesso”, le donne della filiera non solo erano rispettate in quanto indispensabili, ma anche e soprattutto per il loro sincero patriottismo.
Un anno dopo lo shock di Pearl Harbor, su tutti i principali quotidiani dell’epoca cominciò a circolare una foto, distribuita dall’agenzia ACME, che raffigurava una donna intenta a lavorare china su un macchinario industriale, con tanto di bandana a pois in testa. Successivamente J. Howard Miller usò quella stessa foto come punto di partenza per il noto poster simbolo del femminismo internazionale, aggiungendovi la scritta “We Can Do It“. Il poster in questione ha dovuto attendere circa quarant’anni per diventare il simbolo dei diritti delle donne: la circolazione della stampa era infatti destinata alla circolazione interna alla Westinghouse Electric Company con lo scopo di tenere alto il morale tra la forza lavoro. Solo negli anni ’80 “Rosie The Riveter” e il suo motto “We Can Do It“ sono entrati a far parte della cultura pop diventando sinonimo di femminismo e legittimazione della donna, fino a diventare un francobollo nel ’99.
Il nome dell’operaia più nota di sempre (“riveting” in inglese può essere tradotto anche con affascinante, se usato come aggettivo) deriva invece da una canzone del ‘42 composta da Redd Evans e John Jacob Loeb. Il testo dipinge la protagonista come un elemento indispensabile per la catena di montaggio che dimostra tutto il suo patriottismo lavorando instancabilmente. Il brano sembra essere ispirato alla figura di Rosalind P. Walter, che nel corso di tutta una lunga notte non lasciò mai la sua postazione.
Per anni si è creduto che la donna dietro l’icona fosse Geraldine Hoff Doyle (lei stessa si era riconosciuta nella foto originale del ‘42). Nel 2016 arrivò la smentita: un docente della Seton Hall, impegnato nello studio della figura iconica di “Rosie the Riveter” scopre il nome di Naomi Parker Fraley scritto a chiare lettere sul retro della foto originale. People Magazine non ha perso tempo e lo stesso anno ha intervistato la vera Rosie per andare a sondare il rapporto tra l’icona e la donna, che ha risposto così: “Non ero alla ricerca di fama o ricchezza, ma volevo la mia identità” e ancora: “Credo che le donne di questo paese abbiano bisogno di alcune icone, se pensano che io sia una di queste, sono felice“. Pochi anni dopo queste parole Naomi Parker Fraley ci lascia. Il concetto è sempre lo stesso muoiono le persone, non le idee: “Rosie the Riveter” è infatti più viva che mai.
RIP to a true icon Naomi Parker Frayley aka Rosie the Riveter. She passed away today at 96 #WeCanDoIt pic.twitter.com/Y2gROuUK46
— noelle nurmi (@noellemariee13) 22 gennaio 2018