Society
di Andrea Girolami 21 Marzo 2016

Meme d’oggi

La sfida finale online è questa: da una parte contenuti virali sempre più nonsense e incomprensibili. Dall’altra l’esigenza di monetizzarli e riuscire a crearli a tavolino

damn daniel  Daniel Lara, uno dei protagonisti della nostra storia

 

Ci sono parole nel linguaggio della rete talmente onnipresenti da finire con l’essere quasi svuotate di senso. Una di queste è sicuramente meme, un concetto talmente abusato e ripetuto da aver perso il proprio senso originario. La definizione di meme compare nel libro del biologo Richard Dawkins Il gene egoista e definisce quelle piccole cellule di senso che prendono come vita autonoma a volta finendo per invadere spazi e conversazioni capaci di monopolizzare la discussione online. La faccia buffa di Grumpy Cat è un meme così come il doppio arcobaleno o il fisico scultoreo di Balotelli dopo il suo gol in nazionale. Cose apparentemente insensate o semplicemente buffe che finiscono con l’essere la-cosa-più-importante online per i prossimi 15 minuti.

L’ultimo di questa lunga serie di strani esperimenti mediatici spontanei si chiama Damn Daniel. Josh Holz, un ragazzo americano come tanti inizia a creare dei micro video ripetendo sempre la stessa gag. Il protagonista della clip è l’amico Daniel Lara a cui Josh fa i complimenti per l’outfit esclamando ogni volta la stessa battuta “Damn Daniel!“. Tutto qui, niente più che questo per trasformare lo scherzo di due ragazzi in argomento di discussione mondiale con milioni di visualizzazioni, cameo in videoclipospitate in televisione, e analisi dei più grandi studiosi mondiali.

 

 

Tra i tanti approfondimenti uno particolarmente interessante è quello del fenomeno di Wired America che proprio partendo dal caso Damn Daniel ha provato a elencare le caratteristiche del meme moderno. Ripetizione, ritmo, avvenenza, frase tormentone e infine la popolarità stessa come forma d’arte che è un po’ quello che succede alla celebre Kim Kardashianfamosa per essere famosa“.

Sarebbero queste le caratteristiche del materiale virale contemporaneo che però sembra continuare a sfuggire qualunque possibile catalogazione: ogni volta che si arriva ad un’analisi soddisfacente ecco uscire nuovamente qualcosa di totalmente incomprensibile. Un bel problema soprattutto per chi come i professionisti della comunicazione e pubblicitari sono chiamati a ricostruire in provetta questi meccanismi per metterli al servizio di marchi e aziende che puntualmente chiedono l’impossibile ovvero trasformare le proprie campagne nella sensazione online del momento.

Sarò sincero: non sono più in grado di capire a colpo d’occhio cosa è vero e cosa è fake e credo che non abbia più importanza“. A parlarci così è Alessandro Mininno esperto di comunicazione online e socio fondatore di Gummy Industries, agenzia di branding e design. “Per esempio, la vecchia intervista di Andrea Diprè a Sara Tommasi, può davvero essere una pubblicità della RedBull oppure è genuina? Anche quando Banksy è stato arrestato, ho brancolato nel buio come tutti per qualche ora e ho sperato che fosse vero. Paolo Iabichino, uno dei miei guru preferiti, ci provava già nel 2007 inventando per scherzo le indimenticate quattro S del marketing virale: Sesso, Splatter, Sadomaso e Stronzate. La realtà è che possiamo sezionare i meme solo a posteriori, ma nessuno (per fortuna) è in grado di prevedere cosa sarà virale domani. Un neologismo buffoloso? Uno strafalcione politicoso? Un gattino peloso? Who knows

Paolo Iabichino oltre ad essere il responsabile creativo del gruppo Ogilvy & Mather in Italia è da sempre un attento studioso di come la pubblicità si evolve in rapporto ai nuovi media raccogliendo qualche anno fa molte delle sue riflessioni nel libro Invertising. Lo raggiungiamo al telefono per un veloce consulto e per capire se le 4 S da lui indicate anni fa sono ancora valide. “Avevo scritto quelle cose al tempo della prima bolla del viral marketing, quando si pensava potesse essere una soluzione alla scarsità di attenzione delle persone nei confronti dei mezzi di comunicazione tradizionali, oggi quelle conclusioni ovviamente non sono più valide. Abbiamo visto che i marchi si sono assunti nuova responsabilità, la violenza o parlare male di qualcosa ha sempre meno senso, i video che in questo momento usano Youtube intelligentemente sono quelli che lavorano su empatia come quello del papà per Wind. Sono questi i contenuti che hanno i migliori risultati non solo quantitativi ma anche qualitativi e non hanno nulla a che vedere con quanto scritto anni fa. Si tratta di contenuti e video su verità universali che generano consenso e adesione verso il marchio fuori e dentro la rete“.

 

 

Questo di Iabichino è un discorso sensato e facilmente argomentabile che però che non spiega ancora il lato impazzito di questa tipologia espressiva, lo stesso genere di nonsense a cui appartiene il Damn Daniel da cui siamo partiti. “Fenomeni inspiegabili continueranno ad esserci ma so per certo che nessuna marca può costruirsi su contenuti di questo tipo così incontrollabili. Damn Daniel infatti non è brandizzato. Ancora non mi spiego il successo dei gattini ma online c’è posto per tutti. Quello che vedo anche nel lavoro dei miei colleghi però non ha nulla di lasciato al caso, oggi nessuno può permettersi di giocare con i like un tanto al chilo, se non diamo qualcosa di profondamente rilevante alle persone queste faranno a meno di noi“.

Proprio il ruolo del pubblicitario, ma anche quello del giornalista (sempre più alle prese con i branded content,  fusione di news e contenuto pubblicitario) sono entrati in crisi a causa di un contesto così pieno di incertezze e confusione. L’unico ad avere le idee chiare in proposito è il fondatore di Buzzfeed Jonah Peretti che proprio sulla capacità di creare “meme a tavolino” così come di raccogliere quelli già spuntati online, ha creato un business miliardario. Dichiara Peretti: “Penso che ci sia un’opportunità per una nuova età d’oro della pubblicità, come un ritorno all’epoca dei Mad Men dove le persone prendono il proprio lavoro sul serio in maniera davvero creativa“. Ma è davvero così? Lo chiediamo ancora a Iabichino che dei diabolici pubblicitari protagonisti della serie americana è l’erede più umano, contemporaneo e digitale. “Non so se Mad Men sia il riferimento giusto, quella era pubblicità furba, seduttiva e manipolatoria. La pubblicità non ha mai perso la sua inventiva, non si deve tornare ad essere creativi, lo siamo sempre stati. Ora bisogna essere narrativi su nuovi campi da gioco, utilizzare i valori di marca come pretesto occupandosi della vita delle persone“.

 

635908399624830145-1261145478_2dabc0738b1ad25a8246c41d24e0cde7.jpg  Chiaro?

 

Ancora una volta allora siamo divisi tra due lati completamente opposti. Da una parte l’esigenza di una conversazione più ampia, di coinvolgere le persone che sono online su tematiche universali capaci di mettere assieme questo popolo della rete che da un certo punto di vista è davvero globale. Dall’altra un abisso di stupidaggini esilaranti e cortocircuiti mediatici che reclamano una fetta delle nostre giornate sempre più grande. Ogni viaggio in metropolitana, attesa dal medico, pausa al bagno sono momenti perfetti per vedere l’ennesimo gatto buffo, invenzione assurda, la storia strappalacrime accaduta dall’altro lato del mondo.

Davvero questa “rete scema” sta prendendo il sopravvento sulle news tradizionali o le campagne pubblicitarie studiate a tavolino? “Ti ribalto la domanda” risponde Mininno “Cosa succederà quando il prossimo miliardo di persone saranno su internet? Cosa succederà quando i meme smetteranno di essere euro-centrici, e rispecchieranno infinite diverse culture? I meme sono una forza culturale centrifuga, oppure una forza di globalizzazione?“. Anche se non si dovrebbe rispondere ad una domanda con un’altra forse l’unica vera possibilità è quella di arrendersi all’impossibilità di comprendere completamente un fenomeno così rapido e lasciarsi semplicemente trasportare dalla corrente e cercando di divertirsi il più possibile durante il tragitto.

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