Il 19 maggio 2016 è morto a Roma Marco Pannella, aveva 86 anni. Ma chi era Marco Pannella? Segretario e leader del Partito Radicale, è stato presente e protagonista nello scenario politico italiano dagli anni sessanta a oggi, ha portato avanti per tutti noi battaglie per i diritti civili, consultazioni referendarie, si è mosso dentro e fuori il Parlamento per cambiare l’Italia, restando una “terza via” tra schieramenti della Prima Repubblica in apparenza lontanissimi – DC e PCI – ma molto più affini di quanto possiamo immaginare oggi.
Qualche volta è riuscito insieme ai Radicali a cambiare l’Italia, qualche volta no, in ogni caso: insostituibile Pannella, nel 2016 era un uomo di un altro tempo che si ostinava e riusciva a capirne uno nuovo, basta dare un’occhiata alla sua pagina Facebook o al suo account Twitter per rendersene conto.
Ma quali sono le battaglie e i motivi per ricordare Marco Pannella e il Partito Radicale dal dopoguerra a oggi? C’è l’imbarazzo della scelta. Tra le tante battaglie, noi ne abbiamo scelte cinque, cinque battaglie per i diritti civili per garantire a tutti di vivere in un Paese più giusto e più libero.
La legge sul divorzio
Introdotto in Italia il 1° dicembre del 1970, il divorzio è una storica battaglia radicale, di cui Pannella fu protagonista fin dalla metà degli anni sessanta. Il referendum abrogativo del 1974 fallì, ne avevamo scritto qualche settimana fa. Pannella, leggiamo “Nel 1965 inizia la campagna divorzista, d’intesa con Loris Fortuna. Nasce la “Lega Italiana per il Divorzio” (…) Nel 1967 si tiene a Bologna il primo congresso (ma terzo nella serie storica) del nuovo Partito radicale, ricostruito su un programma di profonde riforme, di impegno anticlericale e antimilitarista, e dotato di un nuovo statuto-manifesto. L’anno dopo viene arrestato a Sofia dove si è recato per protesta contro l’invasione della Cecoslovacchia“. Altri tempi.
La legge sull’aborto
Un’altra grande battaglia radicale, di cui i protagonisti a partire dalla metà degli anni settanta furono Marco Pannella ed Emma Bonino. Già, perché quale era in Italia la legislazione prima del 1978, anno dell’approvazione della legge 194? La riassume bene Wikipedia: spoiler, era terribile. Siamo nel marzo 1980 e la legge sull’aborto – la 194 – è stata approvata due anni prima. Pannella, scrive “La legge si sarebbe scontrata con l’ostilità della classe medica, e non solamente degli autentici “obiettori di coscienza”; il caos ospedaliero ne sarebbe risultato accentuato; le donne sarebbero continuate a morire, l’aborto clandestino sarebbe stato appena intaccato (…) la democrazia italiana stava per pagare caro non solamente l’indegno calcolo politico e la strumentalizzazione ignobile delle donne, ma anche le dimissioni ideali e culturali operate accettando una legge “in difesa della vita” “umana”, intendendo per vita umana anche quella dell’ovulo appena fecondato, dello zigote, dell’embrione, del feto“. Attualissimo, oggi non siamo troppo distanti da parole scritte 36 anni fa.
La legalizzazione delle droghe leggere
Battaglia di cui abbiamo anche ricordi recenti, ma partita a metà dei settanta, quando Pannella viene arrestato per avere fumato marijuana. Si autodenuncia, per mettere in ridicolo una legislazione sbagliata. L’idea antiproibizionista di Pannella e dei Radicali già ai tempi, è quella di buonsenso: depenalizzare il consumo e legalizzare le droghe leggere per togliere denaro alla criminalità. Una battaglia tutta radicale quella antiproibizionista, e tutta di Pannella. Indimenticabile, nel 1995, quando si presentò ospite di un programma tv pomeridiano condotto da Alda d’Eusanio con un panetto di hashish. Un momento, quello di metà anni novanta, di Pannella, dell’antiproibizionismo, eternato anche da inni generazionali dell’epoca: una canzone su tutte, Ohi Maria, degli Articolo 31. E “intanto, voto Pannella, e canto…”.
Le battaglie garantiste
I Radicali sono stati uno dei pochi baluardi garantisti in Italia. E in tempi non sospetti. In un paese che si rivela ciclicamente manettaro, innamorato dell’uomo forte, e della punizione esemplare del colpevole, non solo Marco Pannella e i Radicali non si sono dimenticati delle condizioni delle carceri e dei carcerati, né hanno sospeso il giudizio, fino all’ultimo grado di giudizio. Anche nei momenti in cui avrebbe avuto senso cavalcare il malcontento popolare, loro sono andati in direzione contraria. Un esempio? Mani Pulite, nei primi anni novanta. Leggete questo pezzo del Corriere della Sera del febbraio 1993, quando i Radicali accettavano l’iscrizione degli inquisiti e criticavano apertamente l’operato del pool guidato da Antonio di Pietro: ““Grazie, compagno e amico Culicchia! Grazie”. E tutti in delirio: bravo! evviva! sììì! Ma come: Marco Pannella che esalta l’iscrizione al Partito radicale di Enzo Culicchia, quel deputato democristiano “sospettato dei peggiori delitti mafiosi”? (…) Mica ha paura, lui, di attaccare i magistrati. Che gli importa se poi qualcuno cercherà di strumentalizzarlo? È un rischio che è pronto a correre. E davanti alla platea congressuale va giù durissimo. Massimo rispetto per Antonio Di Pietro, “che fin dall’inizio dichiarò che non metteva sotto accusa i partiti ma le persone”. Ma gli altri… “Dov’era la magistratura italiana quando noi denunciavamo la Repubblica fondata sul peculato? Questo sistema, diciamolo, è sempre stato al di sopra delle leggi e i giudici sono sempre stati dei complici”. O se proprio non furono complici certo finsero di non vedere“.
Le battaglie sul rifiuto dell’accanimento terapeutico
Quando è ancora vita? Fino quando ha senso chiamarla così? Le battaglie di Marco Pannella e dei Radicali contro l’accanimento terapeutico sono relativamente recenti, ma basta far suonare qualche nome nella memoria – l’Associazione Luca Coscioni, alla storia di Mina e Piergiorgio Welby – per ricordare quanto anche questa sia una battaglia di puro buonsenso, quella di poter disporre liberamente della propria vita, se non all’inizio, almeno alla fine. Quella per l’eutanasia fu una battaglia in cui vide al suo fianco anche compagni di viaggio forse inattesi, come Vittorio Feltri, che scriveva su Il Giornale “prima di stracciarsi le vesti, chi inorridisce farebbe meglio a informarsi. Stiamo parlando di eutanasia, un problema di cui si discute a sproposito. I radicali di Marco Pannella – l’unico politico italiano prammatico, capace di agire nel concreto – sono chiari e, perciò, vengono oscurati. Travisati. Non programmano di legalizzare l’omicidio né, tantomeno, di fornire ai medici e alle Asl uno strumento lecito per abbreviare i tempi dell’agonia (…) La questione è diversa. Quante volte in famiglia avete udito frasi così: la nonna è giunta alla meta, i suoi patimenti sono indicibili, se la patologia è incurabile, perché, dottore, non avere pietà? (…) Che c’è di male o di storto in questo? Perché vietarlo come fosse un reato? Già si fatica a campare bene, si potrà almeno crepare decentemente come e quando garba? In Italia no, non è lecito. D’altronde non era lecito fino agli anni Settanta nemmeno divorziare, e oggi per farlo non sono sufficienti tre anni di attesa, ne occorrono minimo cinque“.