Society
di Mattia Nesto 11 Giugno 2020

In tutto il mondo stanno tirando giù le statue dei razzisti

Dagli Stati Uniti all’Inghilterra le statue “simboli d’odio” vengono buttate giù una dopo l’altra. Ma è davvero un problema?

Una roba del genere non era successa neppure durante lo scandalo #MeToo: ovvero la nascita di una linea di demarcazione netta, anzi nettissima, basato sull’età. Hai più o meno più di quarant’anni? Beh, allora alla notizia delle statue vandalizzate e buttate giù in America e in Inghilterra di personaggi storici legati allo schiavismo, hai reagito con sdegno: “Sono dei barbari, la Storia non si cancella con un colpo di spugna o la distruzione di una statua”. Molto probabilmente, se hai meno di quell’età, hai pensato: “Hanno fatto bene, quei personaggi storici sono, prima di tutto, degli esseri che hanno inferto e approfittato della sofferenza altrui per arricchirsi e diventare importanti”.

Le vicende legate alla caduta delle statue sono strettamente connesse con quelle dell’omicidio di George Floyd. La domanda che vogliamo porci è: siete davvero sicuri che buttare giù un monumento voglia dire cancellare la Storia? Intendiamoci, di base a noi le statue stanno parecchio simpatiche e i monumenti in generale. Per dire, io grosso modo a vent’anni, ho trascinato alcuni dei miei amici per vedere a Rimini (a Rimini, cioè una delle capitali mondiali del divertimento) il Tempio Malatestiano, quell’assoluta meraviglia punteggiata dalle opere di Piero della Francesca. Eppure c’è monumento e monumento, c’è statua e statua.

Se, poniamo il caso, fossimo nel mondo di Star Wars, e non parteggiamo per l’Impero, non è che ci farebbe gran piacere vedere eretta nella nostra città, piccola o grande che sia, oppure sul nostro pianeta o satellite, una statua di dodici metri dell’ex senatore Palpatine, giusto? Beh, quindi non è difficile comprendere come per tantissime persone, a ragione, vedere una statua di uno schiavista, un aguzzino, un sanguinario conquistatore al centro della piazza della propria città, simbolo di appartenenza e orgoglio della stessa, un po’ di ribrezzo fa venire.

D’altro canto in un recente bel libro, La linea del colore, Igiaba Scego (che ha recentemente firmato su Internazionale un articolo illuminante sulla questione ), la riflessione su una targa di una piazza, segnatamente la piazza dei Cinquecento, quella davanti a stazione Termini a Roma e su una statua, portano la protagonista a riflettere non solo sulla propria vita ma anche sullo schiavismo in generale.

Igiaba Scego – La linea del colore

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Ecco il punto: eliminando una statua, non si cancella la storia. Anzi, il rischio potrebbe essere proprio l’opposto. In fondo, la stessa etimologia di statua sta a significare “qualcosa che sta in piedi, che si erge sugli altri”. Ecco allora in una società che si vuole dire civile, non ci pare così giusto e equo “far ergere sugli altri” uno schiavista che, magari ha realizzato opere importanti per la città, ma lo ha potuto fare anche e soprattutto grazie al dolore e alla sofferenza provocata ad altri. Magari a voi non dà fastidio quella statua, ma guardatevi allo specchio: se siete maschi, occidentali e bianchi che cosa può davvero suscitarvi fastidio in un mondo che, volenti o nolenti, è stato plasmato “su misura per voi”?

L’abbattimento di una statua potrebbe “attivare” la Storia invece di cancellarla. Ne siamo convinti ed è facile da capire: chi era l’individuo (guarda caso, sempre maschio) della statua? Parliamone, studiamolo, pensiamoci, non lasciamoci irretire dal solito passeggio, Covid-19 permettendo, che ci fa dimenticare le statue e i monumenti della nostra città. Ora con le app e la realtà aumentata, per dirne una, queste opere diventano foriere di informazioni come mai prima d’ora nella Storia umana.

Parliamoci chiaro: se uno è stato nella propria vita foriero di sofferenza, non merita una statua. Magari ha fatto anche grandi cose, ma davvero stiamo male perché la statua di uno schiavista è stata buttata giù o quella di Colombo è stata decapita?  Realmente sono così importanti per noi tali da “non poter vivere” senza una loro statua?

Quelle che vedete sono immagini forti ma, secondo quando la documentazione storica ci ha consegnato, anche l’amministrazione di Colombo delle colonie è stata particolarmente aggressiva, tanto che il genovese è stato destituito dal suo incarico per “troppa violenza perpetrata”. E non è che i governanti fossero, esattamente, politicamente corretti. Quindi molta calma. Un monumento che viene tolto dalla circolazione non è la fine della Storia (non mi pare ci siano in giro, per fortuna, molte statue di Hitler ma di certo è un personaggio che si studia, com’è giusto che sia, no?) e può portare, come nel caso recente di Bansky  a soluzioni socialmente e artisticamente impattanti.

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Nel dubbio, ci sentiamo sempre dalla parte del primo ministro congolese Patrice Lumumba che,  durante il discorso per l’Indipendenza del suo Paese dal Belgio (1960), prima di accogliere alcuni dignitari dello Stato Europeo tra cui il re del Belgio Baudouin disse: “Nous ne sommes plus vos macaques!”. Non servono traduzioni, ma solo riflessioni sulla Storia e sul senso di essa: perché la Storia, la si studia non con le pietre ma con le parole. E una statua che viene giù non basta per cancellarla.

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