Ricordo nitidamente quando andavo dai miei nonni in uno dei due giorni del Palio di Siena, e della mia rottura di coglioni di proporzioni titaniche nel guardare in tv un sacco di gente pressata a pressione in Piazza del Campo, nell’attesa che succedesse qualcosa. Ricordo ore di attesa, mentre due commentatori spiegavano regole che non mi sono mai entrate in testa, nomi di contrade fantasy, alleanze, la mossa, i nickname dei fantini tipo Aceto e quei poveri cavalli che schiumavano.
Poi a caso, secondo la mia percezione, iniziava la gara che si risolveva in pochi forsennati minuti. Qualcuno vinceva, a volte un cavallo senza fantino, a volte c’erano incidenti, a volte un cavallo si rompeva e moriva, a volte un fantino rimaneva sotto il traffico equestre, quasi sempre volavano botte tra gli opponenti delle diverse contrade. Non mi sono mai divertito.
Crescendo, ho sentito racconti che parlavano di clima assurdo a Siena prima del Palio, risse tra abitanti di quartieri diversi, pure tra parenti che non abitano vicini. Boh, sarò io scemo che non capisco, mi sono sempre detto. Non ho mai capito perché un evento cittadino, di sicuro interesse nel Medioevo ma oggi davvero anacronistico e molto spesso violento, debba occupare ore di diretta sulla tv nazionale.
Quest’anno non si correrà a causa del Covid-19, e la cosa mi fa felice. Sarà perché non mi dà fastidio vedere il calcio in costume, in cui se le danno di santa ragione, o tutti gli sport maneschi in generale ma odio vedere gli animali messi di mezzo, affaticati, bombati, sviliti per il divertimento del pubblico. Abbiamo fatto campagne contro gli animali nel circo, non vedo perché i cavalli del Palio debbano andare in diretta tv.
Poi magari è un fastidio personale e voi riuscirete dopo anni a farmi appassionare alla vista di ore di televisione che riprende un sacco di persone pressate come sardine sotto il sole cocente, di un linguaggio in codice che non parla in alcun modo alla mia vita.